“Le nostre storie raramente sono state raccontate dai primi interessati” – Libération

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Testimonianze

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A lungo invisibili nella società francese, i bambini nati da genitori stranieri, da Rachida Brakni a Faïza Guène passando per Sofiane Si Merabet, investono nella letteratura per raccontare la loro storia e quella dei loro genitori. Per non essere più solo oggetti della sociologia ma soggetti della propria vita.

Una sera di marzo a Parigi. Rachida Brakni entra in scena in una libreria. Si raduna una piccola folla. Persone curiose. Amici. L’attrice ha paura del palcoscenico. La sua famiglia, presente anche lei, si tiene un po’ lontana dal pubblico; proprio alla sua sinistra. Rachida Brakni si commuove. Presenta il suo primo libro, appena pubblicato. Un romanzo, Kaddour (Azione). Ripercorre la storia di suo padre che somigliava “due gocce d’acqua per Louis de Funès”, sembra. Nato in Algeria, rimasto orfano all’età di 7 anni, è arrivato in Francia quando ha raggiunto la maggiore età. Una vita da camionista e fattorino. Una famiglia: due figlie, un figlio. Rachida Brakni è la maggiore. È morto in pieno Covid, nell’estate del 2020. Lei lascia cadere ovunque la stessa frase; tutto il tempo. “Volevo assolutamente che questo libro fosse pienamente un’opera letteraria. Perché la storia dei miei genitori non esplorava ancora quest’area. Come se dovessi fare a me stesso il compito di fare a mio padre, che non aveva parole, il cappotto più bello, i ricami più belli”.

Un libro e parole scelti con cura. Rachida Brakni è entrata a far parte della Comédie-Française poco più che ventenne. Ha ricevuto un César come attrice più promettente e un Molière per la rivelazione femminile. Conosce la luce. Non cambia nulla. Il tempismo è importante. Unico. Madre Brakni è toccata nel profondo. Si prendono cura

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