Nel suo ultimo romanzo, l’autore francese Jean-Noël Orengo decostruisce le famose memorie di Albert Speer, architetto di Adolf Hitler e poi ministro degli armamenti del Terzo Reich. Un testo tanto necessario quanto tagliente che dimostra che tra l’autobiografia e l’autofiction c’è solo un passo.
Ha sempre affermato di non aver mai saputo nulla della Soluzione Finale. Albert Speer (1905-1981) fu uno dei pochi stretti collaboratori di Adolf Hitler ad essere sfuggito alla pena di morte durante il processo di Norimberga (1945-1946), dichiarandosi colpevole collettivamente, ma non colpevole individualmente. Sta scontando una pena detentiva di vent’anni a Spandau, dove scrive pazientemente le sue memorie su pezzi di carta igienica.
Al suo rilascio nel 1966, Speer, quest’uomo ammirato e geloso allo stesso tempo da coloro che erano vicini al Führer, fu uno dei pochi testimoni viventi dell’intimità di Hitler. Alla sua uscita nel 1969, l’autobiografico “Nel cuore del Terzo Reich” fu un immenso successo letterario, che rimane ancora oggi una fonte storica di prima mano, nonostante incongruenze più che problematiche.
Ciò che mi interessava era il potere della finzione. Un uomo [Albert Speer] che ha dato di sé una finzione così forte che inizierà una lotta con la verità cercata dagli storici
Guerra di storie
Poco dopo la loro pubblicazione, le memorie di Speer furono già messe in discussione da alcuni storici. Così fu nel 1971, quando Erich Goldhagen, sopravvissuto ai lager, rivelò un discorso di Himmler del 1943 in cui, in sostanza, il ministro degli Interni ringraziava Albert Speer, presente, per il suo contributo ai lavori di attuazione della Convenzione Finale. Soluzione.
Il [Himmler] conclude dicendo che ora sono informati, che dovranno tenerselo per sé, e assumersi, a nome del popolo tedesco, la responsabilità della realizzazione, e non solo dell’idea, della scomparsa degli ebrei dalla Terra, e che dovranno portare questo segreto nella tomba.
Al di là della sua presunta ignoranza della Shoah, resta il fatto che Albert Speer è stato, in qualità di Ministro degli Armamenti e dell’Industria Bellica, l’artefice di quello che viene chiamato sterminio mediante il lavoro. “È un uomo che cercherà continuamente manodopera, per far lavorare come schiavi deportati, prigionieri, combattenti della resistenza. Questa fu la sua partecipazione al Terzo Reich”, dice Jean-Noël Orengo.
Allora perché è sfuggito alla pena di morte? Questa domanda era di particolare interesse per la storica viennese Gitta Sereny, che negli anni ’70 mantenne con Albert Speer un rapporto allo stesso tempo amichevole e di studio. Osserva un uomo che ha “plasmato il decoro” della propria storia e che ha saputo raccontare diverse versioni di se stesso a strati.
Una socialite opportunista
Il romanzo mette in luce l’innegabile attrazione esercitata da questa elegante “mondana”, innamorata del romanticismo tedesco, che diventa ben presto la preferita di Adolf Hitler. Alto, bello, biondo, ma freddo e poco seducente, Speer appare quindi come un “uomo ideale”: colto, sebbene “imbarazzato” al cospetto degli ebrei (anche se afferma di non aver mai avuto nulla contro di loro). Questa presenza ha permesso all’architetto, dopo la sua liberazione, di diventare una sorta di “stella della colpa tedesca”. Uno status che rende difficile rivalutare le sue memorie, nonostante le immense incongruenze.
I giornalisti fanno contro-indagini e, di fronte a Speer, dobbiamo fare una contro-fiction, una finzione che raddoppia quella costruita da un personaggio storico a partire da fatti reali in cui ha avuto un ruolo importante.
Posizionandosi come romanziere e non come storico, Jean-Noël Orengo propone, come linea di difesa contro questa autofiction, una contro-fiction, affinché alla fine non sia Speer il vincitore.
Ellen Ichters/sf
Jean-Noël Orengo, “Tu sei l’amore infelice del Führer”, Edizioni Grasset, agosto 2024.
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