A Martine Paschoud – Il Corriere

A Martine Paschoud – Il Corriere
A Martine Paschoud – Il Corriere
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Cara Martina,
Ti scrivo queste poche parole da Sarajevo dove mi trovo in questo momento grazie a te.
Eri infatti direttore di Le Poche quando ti telefonai una domenica mattina per dirti che non potevamo rimanere inerti mentre si sviluppavano l’assedio di Sarajevo e gli abusi serbi in Bosnia. Lei mi ha subito suggerito di organizzare una serata di mobilitazione che portasse alla creazione di un Comitato di Sarajevo a Ginevra.
Eri direttore de Le Poche quando mi offristi asilo per fare uno sciopero della fame per protestare contro la negligenza dell’amministrazione comunale di allora.
Lei era direttore di Le Poche quando Tariq Ramadan riuscì a ottenere la censura di un’opera di Voltaire. Ci avete accolto per combattere insieme a noi il totalitarismo religioso.
Sono convinto che, se lei fosse ancora direttore di Le Poche, staremmo insieme per denunciare le politiche suprematiste e razziste che stanno dando i risultati che conosciamo in Palestina e per lottare contro il fascismo che ormai conquista ovunque.
Potrei allungare l’elenco dei tuoi impegni e farti appassionare alle cause perse. È più semplice e complesso di così.

Martine Paschoud nel 1999. CAROLE PARODI

Per te il teatro non era separato dalla vita sociale e politica. Non era né la copia né il riflesso ma l’ombra proiettata e l’immagine inventata, non era l’eco ma la cassa di risonanza. Tutto il lavoro teatrale si basava sulla ricerca di un fragile squilibrio tra realtà e utopia. In questo hai ereditato un marxismo aperto, molto liberamente interpretato e vissuto, un gioioso brechtismo che rifiutava di fare del teatro un puro intrattenimento.
Non voglio qui ridurre il tuo lavoro alla sua dimensione politica, ma posso solo constatare il crescente divario tra le posizioni critiche che abbiamo condiviso e le attuali regole del mercato culturale, dell’amministrazione quantificata del teatro, del ridicolo calcoli del tasso di influenza delle istituzioni teatrali, dell’abbordaggio del teatro da parte delle logiche finanziarie che dominano oggi il mondo. Fino alla fine rimarrai spaventato dall’evoluzione della cultura e della politica.
Da quando ti ho incontrato nel 1975 al Théâtre de Carouge allora diretto da François Rochaix, il nostro sodalizio artistico e la nostra amicizia non sono mai cessati. Potrei raccontare tante avventure vissute insieme in cinquant’anni, parlare di tutto ciò che ti deve la creazione di Châtelard a Ferney-Voltaire, parlare degli spettacoli che abbiamo prodotto insieme, parlare dell’attrice che ho avuto il piacere di dirigere, moltiplicare gli aneddoti di di tutti i tipi, ma ciò significherebbe ignorare tutto ciò che hai fatto in altri ambienti, in altre situazioni, con altri amici e al quale non ho avuto accesso. Era la tua vita, l’hai vissuta pienamente, a volte dolorosamente, ma il più delle volte nella gioia della riflessione, della discussione, dello scambio, della condivisione, dell’immaginazione. In ogni caso è così che ti ho conosciuto.
Quando ti ho visto recentemente all’ospedale Gilly, conservavi lo stesso sguardo di bambino stupito e goloso – avevamo in comune anche il gusto degli amaretti e del cioccolato. Avevi il tuo sorrisetto divertito e tenero che dava a tutto la giusta misura.
Non so dove sei adesso, e nemmeno se sei da qualche parte, ma sono sicuro che, in un modo o nell’altro, riceverai queste poche parole dal tuo amico.
Ti bacio forte.
Hervè

* Hervé Loichemol è un regista, ex direttore della Comédie de Genève.

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