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Recensione del film Playing with Fire (2025) di Kerven

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Perdere un figlio… Anche se è ancora vivo.

Quando le strade divergono, lascia che i silenzi si stabilizzino. Eppure l’amore è ancora lì. Il padre si prende cura dei suoi figli, i figli si prendono cura del padre. Scena toccante in cui Félix va a “rimboccare” le coperte a suo padre. Pensiamo di aver instillato i valori giusti, poi qualcosa va storto. Questo film mi tocca ancora di più perché parla della mia casa, la Lorena, una terra prima di tutto culturale prima che geografica, purtroppo attraversata da faglie identitarie, queste ultime alimentate da una situazione economica disastrosa. Le terre desolate dell’industria siderurgica danno rifugio a chi è rimasto indietro, a chi ha bisogno di identità, a chi viene rassicurato dalla violenza e dai corpi virilizzati. Il padre dell’assassino, come si autodefinisce Pierre, è colpevole? Per aver lasciato che la situazione peggiorasse quando il suo unico desiderio era curare le ferite di Félix? Pensare che essere presenti anche senza dire nulla potrebbe bastare per risolvere tutto. Senza contare l’arroganza dei vent’anni del fratello maggiore. Quando non c’è più nulla su cui fare affidamento, quando non ci fidiamo più del sistema, solo l’ego ci guida; finché non arriva la tragedia. Non poteva che finire male, disse Pierre al bar. E già la sua riflessione svanisce quando si chiude la porta su 20 anni di reclusione.

Tuttavia, ridurre il soggetto al determinismo sociale sarebbe troppo facile. A fare da contrappunto c’è il fratello Louis, che riesce brillantemente negli studi letterari. Perché l’uno e non l’altro? Questo è forse il difetto del film, perdere un po’ troppo tempo a filmare momenti familiari e non andare un po’ più a fondo nelle possibili radici del male. Tutto questo risentimento l’ho vissuto ai miei tempi, sarebbe stato facile caderci dentro, in questa identità che non è altro che frustrazione. Se il trauma può persistere oltre le generazioni, come l’epigenetica tende a dimostrare, non c’è dubbio che con tre guerre sul suo territorio, più il “nonostante noi” e le battaglie d’acciaio, Lorraine è un candidato perfetto per i drammi familiari. Lo sentivo da adolescente, questo odio e questa rabbia che non sappiamo da dove venga. Per fortuna ho incontrato le persone giuste e soprattutto l’amore. Ma Félix si scontra con i suoi cari, nessuna presenza femminile è al suo fianco (il grande vuoto del film), solo lo stadio e il suo slancio tribale sembrano dargli la voglia di vivere.

Pierre lavora sui binari, viaggiando con una luce di emergenza in mano, con l’oscurità che lo avvolge sempre di più man mano che il dramma si svolge. La sicurezza degli altri è la sua missione principale, ma la preoccupazione lo accompagna costantemente; sente fin dall’inizio che le associazioni di Félix sono possibili fonti di problemi. Si sente tradito, eppure l’amore deve rimanere incondizionato. Ma cos’altro puoi suggerire? Come padre, questo film mi interroga. E se tra qualche anno vivessi una situazione del genere? Anche se penso che ci siano poche probabilità che ciò accada, non ho il controllo di tutto ciò che mio figlio può pensare, devo accettare le sue scelte future, anche se diverse dalle mie. E se dovesse sbattere contro un muro, cos’altro potrebbe fare se non cercare di attutire l’impatto?

Playing with Fire è quindi un bel film, pone allo spettatore domande esistenziali. Qui il rapporto padre/figlio non è manicheo, il che gli conferisce molta più credibilità. Portato da un casting solido, innanzitutto da Vincent Lindon, perfetto come al solito, ma anche da due nuovi volti del cinema francese, Stefan Crépon, e soprattutto Benjamin Voisin che fa esplodere lo schermo con il suo carisma. Non conoscevo le sorelle Boulin, registe, ma vale la pena seguirle.

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