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L’attore francese Niels Arestrup non c’è più

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(Parigi) Occhi azzurri e figura massiccia, Niels Arestrup, morto domenica all’età di 75 anni, si era affermato in 50 anni di carriera come uno dei più grandi attori francesi, a suo agio sia nei classici del teatro che in quelli francesi. le scarpe di un gangster al cinema.


Pubblicato ieri alle 15:01

Dominique CHABROL

Agenzia -Presse

Discreto, perfino timido, ma temuto nella professione per il suo temperamento esplosivo che gli valse accuse di violenza da parte delle attrici, recitò in più di cinquanta film e altrettante opere teatrali.

Un viaggio costellato da incontri decisivi, come quello del cineasta francese Jacques Audiard che gli affidò due dei suoi migliori ruoli ultracinquantenni, in Il mio cuore ha smesso di battere nel 2005 e Un profeta quattro anni dopo, premiato con il Premio César per il miglior ruolo non protagonista.

Tutti i miei fuochi : il titolo della sua autobiografia pubblicata nel 2005 riassume il personaggio, a lungo tormentato, che spesso ha interpretato i bastardi del cinema, prima di interpretare i padri stanchi, i truffatori al ritorno o addirittura, in Quai d’Orsay (2013), capo di gabinetto di un ministro degli Esteri, che gli ha permesso di ottenere un terzo e ultimo Cesare.

Nato l’8 febbraio 1949 a Montreuil, vicino Parigi, da padre danese fuggito dal suo paese durante la seconda guerra mondiale, divenuto direttore di laboratorio, e madre francese, dopo il liceo si iscrive ad un corso di teatro e alterna ruoli sul palco e al cinema.

A 25 anni era segretario di Trotsky Stavisky di Alain Resnais, una grande produzione con Jean-Paul Belmondo come protagonista, ma interpreta anche ruoli secondari per Claude Lelouch, Yves Boisset e Jeanne Moreau.

In teatro, il suo campo preferito, interpreta Dostoevskij, Jean Genet, August Strindberg o Il frutteto dei ciliegi di Anton Chekhov, diretto nel 1981 da Peter Brook al teatro parigino Bouffes du Nord, altro incontro decisivo.

Poeta nel teatro, mafioso nel cinema

Senza mai abbandonare il teatro, Niels Arestrup ha costruito nel tempo la sua notorietà. Più legato alla qualità delle sue scelte e del suo lavoro che a una celebrità scomparsa che evita il più possibile. Afferma inoltre di non aver “mai voluto farsi conoscere” e di stare lontano dalla mondanità dello spettacolo.

Da tempo ha l’immagine di un partner difficile. Nel 1983, Isabelle Adjani rinunciò al suo ruolo in Mademoiselle Juliea seguito di uno schiaffo dell’attore. Nel 1996, un’altra attrice, Myriam Boyer, fu licenziata dallo spettacolo. Chi ha paura di Virginia Woolf? dopo uno scambio di colpi.

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FOTO JACQUES DEMARTHON, ARCHIVIO AGENCE FRANCE-PRESSE

Niels Arestrup nello spettacolo Mademoiselle Julienel settembre 1983

La sua duplice carriera lo colloca in linea con i grandi nomi della generazione precedente, che si sono formati in teatro prima di affermarsi sul grande schermo.

Anche la stampa lo acclama regolarmente come un “grande attore”, visto anche in televisione in una serie di fantascienza politica, Barone Neronel 2016 e insignito del Premio Molière come miglior attore nel 2020.

Il presidente Emmanuel Macron e la moglie hanno elogiato in un comunicato stampa “un grande attore del nostro tempo, esigente e popolare, figura del nostro teatro, indimenticabile nel cinema, guida e modello per una generazione di attori”.

Mai soddisfatto, ha messo in scena lui stesso spettacoli intimi, come Albergo Beirut (2008), Grande Mela (2014) dell’attrice Isabelle Le Nouvel, sua moglie nella città dove il Lettere a un giovane poeta di Rainer Maria Rilke, al quale prestò anche la sua voce profonda nel 2005.

È anche autore di numerose opere teatrali, tra cui Tempo di ciliegieeseguita nel 2008 da Cécile de France e Eddy Mitchell.

La sua immagine sulfurea era sbiadita con l’età. Padre di due gemelli, a 62 anni, negli ultimi anni ha mostrato una discreta sicurezza. “Per prendere in considerazione l’idea di avere dei figli, dovevo essere molto innamorato, per arrivare a un punto della mia esistenza in cui finalmente mi stabilizzavo”, confidò nel 2014 alla rivista Partita di Parigi.

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