Nove anni quasi esattamente il giorno dopo l’esibizione Ventesimo secolocon cui sei tornato sul palco di Cado al Théâtre d’Orléans sottosopra. Che ricordi ne avevi?
Ricordo una grande sala, un vasto pubblico ad ogni rappresentazione. Spettatori che vengono da Orléans ma anche dai paesi limitrofi. E la possibilità di incontrare per dieci serate un pubblico diverso visto che abbiamo anche la possibilità di suonare per un periodo piuttosto lungo.
Che piacere provi nel tornare sul palco?
Non mi separerò mai dal teatro, tornerò sempre ad esso. È ovviamente un percorso molto sportivo, un impegno forte, emotivo. Ogni incontro con il pubblico deve essere come una prima volta. Dobbiamo essere come dei principianti, pronti a scoprire nuove reazioni da parte del pubblico presente quella sera.
È un lavoro senza compromessi perché, a differenza del cinema, non puoi girare nuovamente una scena. Ogni volta è un tuffo nel vuoto. C’è anche una frase di Dubillard che dice: “Bisogna buttarsi nel vuoto senza pensare. Se poi ti accorgi di aver dimenticato il paracadute, tanto meglio. Sarà allora che dimostrerai il tuo valore.” È un po’ come la sensazione che proviamo quando saliamo su un palco, il teatro ci dà questa possibilità di vivere le cose dal vivo.
In sottosoprahai raccolto una selezione di testi, poesie, schizzi di Sacha Guitry, Roland Dubillard, Raymond Devos, Victor Hugo, Michel Houellebecq… Come hai creato questa antologia?