Vanessa Springora: “Le figure maschili che furono mio padre e mio nonno spiegano perché mi sono rivolta a Gabriel Matzneff a 13 anni”

Vanessa Springora: “Le figure maschili che furono mio padre e mio nonno spiegano perché mi sono rivolta a Gabriel Matzneff a 13 anni”
Vanessa Springora: “Le figure maschili che furono mio padre e mio nonno spiegano perché mi sono rivolta a Gabriel Matzneff a 13 anni”
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COLLOQUIO – Cinque anni dopo Consensoun resoconto agghiacciante della sua relazione con Gabriel Matzneff, esplora la scrittrice Cognomecon la stessa forza e coraggio, racconta la storia della sua famiglia. Una nuova battaglia di intimità.

In CognomeVanessa Springora si affida tanto a Zweig o Kundera quanto agli archivi rinvenuti dopo la morte di un padre mitomane e tossico che non vedeva da dieci anni – così come alle foto di suo nonno con le insegne naziste… – per intraprendere un vera e propria archeologia degli uomini della sua famiglia, e più precisamente del nome che ha ereditato.

Comprendendo che il tenero nonno che si era preso cura di lei, sostituendosi a un padre incapace di farlo, non era quello che lei credeva, autrice di Consenso ha intrapreso un’indagine a forma di bambola russa. O come un nome possa contenere non solo la storia di un padre e di un nonno, “ma il percorso del secolo scorso e la geografia accidentata di un intero continente. »

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Madame Figaro . – In che misura Cognome et Consenso sono imparentati, per te?
Vanessa Springora.– Ho insistito, quando il Consensosul mio bisogno di riappropriarmi della mia storia, ma c’è stato un “prima” del mio incontro con Matzneff. L’impronta lasciata nella mia vita dalle figure maschili che furono mio padre e mio nonno paterno spiega in parte perché mi sono rivolto a Gabriel Matzneff a 13 anni… La figura dello stupratore e quella del fascista mi sono molto vicine. Sono rimasto colpito dalla terminologia usata riguardo agli stupri di Mazan. Hannah Arendt è stata ampiamente citata, la “banalità del male”, gli stupratori “ordinari”; In Cognomeparlo anche di questi uomini comuni, e di queste scelte fatte loro malgrado, senza riflessione propria, in un altro contesto, questa volta politico. Nel predatore sessuale che è Gabriel Matzneff, capace di abusare di bambini e adolescenti per decenni, e nella totale negazione della sofferenza che infligge, fino a mostrarla nei suoi libri, vedo la stessa negazione dell’altro che troviamo tra Assassini e torturatori nazisti, incapaci di vedere nelle popolazioni deportate e massacrate, gli ebrei, gli omosessuali, gli zingari, gente simile che siamo in procinto di annientare. A questo proposito, Cognome continua l’esplorazione della psiche del carnefice.

Tuo nonno e tuo padre hanno in comune il fatto di aver mentito, uno per nascondere ciò che aveva fatto durante la guerra, l’altro in modo malato e patologico. Scrivere non è per te un modo per annullare queste bugie?
Questo è proprio l’altro collegamento con Consensodove si trattava infatti di sfatare la menzogna dei libri di Gabriel Matzneff, il suo modo inequivocabile di raccontare quanto era accaduto, imponendo la sua versione delle cose. La menzogna per omissione ha distrutto mio padre, che ha dovuto convivere fin dalla prima infanzia con qualcosa di non detto, il segreto di famiglia nascosto da un nome fittizio, Springora. Mio nonno lo forgiò per trasmetterglielo nel 1946, mio ​​padre essendo concepito alla fine della guerra, era figlio di un passato che doveva essere rimosso. Mio nonno mi fu presentato come un eroe arruolato con la forza nell’esercito tedesco, poi mandato in Normandia dove disertò, poi fu nascosto a Rouen da mia nonna prima di stabilirsi in Francia per fuggire dal regime sovietico, nel suo paese natale , Cecoslovacchia. In realtà, pur avendo la cittadinanza cecoslovacca, apparteneva alla comunità di lingua tedesca dei Sudeti che si schierò con Hitler e impose lo svolgimento della Conferenza di Monaco del 1938, al termine della quale la Germania. I nazisti annessero la regione dei Sudeti, poi tutti della Cecoslovacchia. Mio nonno non solo si arruolò nell’esercito tedesco: entrò nella polizia di Berlino, si iscrisse al partito nazista… Questa repressione pesò molto su mio padre e spiega, ai miei occhi, la sua mitomania. Forse non è un caso che io abbia adottato una delle etimologie del nome Springer, il vero nome di mio nonno: “Spread the word”, rompendo quindi il silenzio, disfacendo la finzione.

Potresti dirci qualcosa su questo titolo, Cognome e la questione del nome?
Struttura il libro, che è diviso in quattro capitoli, il cognome, il nome del padre, il nome assunto e il nome “proprio”, preso nel suo doppio significato, cioè come “nome a se stessi”, e come un nome senza macchia, immacolato. Il nome che si è dato mio nonno gli ha permesso di cancellare il suo passato. Il nome è quindi l’origine della finzione, è l’inizio di una storia, di un mito, di una leggenda. Ci costruiamo anche secondo il nostro cognome, che porta con sé origini geografiche, culturali e sociali. Il nostro nome spesso determina le nostre scelte, le nostre affiliazioni e talvolta i conflitti di lealtà. L’identità comincia da lì, e quando hai un nome falso, come mio padre, e lo scopri tardi, è molto complicato superare questo difetto. Il nome è anche patrimonio dei nostri padri; noi donne non abbiamo un nome proprio. La tradizione vuole che ereditiamo quello di nostro padre e poi prendiamo quello di nostro marito. A volte vorrei poter tornare ai rituali più antichi in cui potevamo battezzarci alla maggiore età. Tra i Lakota, ad esempio, si cambia nome quattro volte nella vita, a seconda della propria età simbolica. Questo mi sembra un modo per riprendere il controllo della sua storia.

Ho insistito, quando il Consensosul mio bisogno di rivendicare la mia storia

Vanessa Springora

Tuo nonno ha cambiato il suo nome in qualcos’altro e tu ti sei “fatto un nome” con Consenso come ti ha detto qualcuno…
Quando sei un giovane nato in una comunità di lingua tedesca nel 1912, poco prima della caduta dell’Impero austro-ungarico, è molto difficile posizionarti al di fuori della tua cerchia ristretta. Il primo istinto è quello di aderire alla sua cultura, alla lealtà che il suo nome esige. Ma dobbiamo anche avere la capacità di staccarcene, di esercitare il nostro spirito critico, di chiarire in particolare il nostro consenso, in questo caso alla barbarie. Per dirci che, anche se siamo determinati dalla nostra origine, dobbiamo mantenere questo spazio di libertà che ci permette di agire nella nostra anima e nella nostra coscienza, indipendentemente dalla nostra appartenenza ad una comunità. È tutto questo percorso dal nome di famiglia che ereditiamo al nome che ci creiamo, il nostro “nome proprio”, che sto raccontando. Per quanto mi riguarda non è la fama che mi interessa, ma il fatto di rinominarsi, di rinominarsi. L’impossibilità di spiegare da dove venisse il nome che portavo mi lasciava un sentimento di impostura e di illegittimità, perché non avevo radici a cui aggrapparmi. Oggi che so cosa nasconde questo nome, ci credo Cognome è stato anche un modo per riconciliarmi con questo padre che non aveva mai potuto esserlo per me. Questo è forse ciò che ci manca anche oggi: la capacità di comprendere la persona che designiamo come nostro nemico.

Cognome, di Vanessa Springora, Éditions Grasset, 368 pag., 22€.
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