Recensione ‘Il regno del pianeta delle scimmie’: abbiamo davvero bisogno di un altro film?

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Troppi minuti, troppi litigi, troppe scene inutili… Ecco il verdetto di questa novità Regno del pianeta delle scimmie di Wes Ball con Owen Teague, Freya Allan e Kevin Durand.

La trilogia condotta alacremente dal 2011 al 2017 da Andy Serkis nei panni di Cesare è stata attuale poiché ha sollevato il velo sugli eventi che hanno permesso alle scimmie di diventare i primati dominanti sulla terra, allontanandosi certamente dal romanzo di Pierre Boulle, ma ampliando il discorso e offrendo importanti temi filosofici e questioni politiche.

Studi del XX secolo

Regno del pianeta delle scimmie è, in questo senso, inutile. Quarto lungometraggio del “reboot” del franchise cinematografico della serie B – serie Z per gli ultimi – degli anni ’60 e ’70, il film di Wes Ball vuole essere un ponte derivato tra la trilogia e gli originali.

Ci troviamo infatti qualche secolo dopo la morte di Cesare. Le scimmie non vivono in armonia tra loro, con il clan di scimpanzé di Noa (Owen Teague) che viene selvaggiamente attaccato da quello di Proximus (Kevin Durand), una scimmia che è riuscita a radunare i gorilla attorno al suo progetto di regno che intende realizzare. consolidarsi mettendo le mani su antiche tecnologie di guerra umane.

Sulla strada per ritrovare i membri della sua tribù, Noa incontra Raka (Peter Macon), un orango custode degli insegnamenti di Cesare. Ma soprattutto, lo scimpanzé incontra Mae (Freya Allan) – che chiama Nova in uno dei tanti cenni al film del 1968 e al romanzo –, un essere umano pensante e parlante che desidera anche sconfiggere gli obiettivi di conquista di Proximus.

I minuti si allungano di 145, le scene iniziali che descrivono la vita della tribù di Noa, quelle in cui vediamo gli umani condividere uno specchio d’acqua con le zebre o le scene di combattimento che impercettibilmente ci fanno pensare sicuramente ad un nuovo incontro tra Godzilla e King Kong non aggiungere nulla a questo franchise cult del cinema di fantascienza.


Studi del XX secolo

Fuorviante lo sceneggiatore Josh Friedman, al quale dobbiamo l’indigesto Guerra dei mondi (2005) di Steven Spielberg o Il doloroso Terminator: Destino Oscuro (2019) di Tim Miller, non sa più cosa inventare per passare il tempo, sicuramente per dare agli spettatori l’illusione di ottenere un buon rapporto qualità-prezzo. I dialoghi non brillano di originalità, il finale sotto forma di falso interrogatorio storico sa di pigrizia (e il prevedibile seguito, Bob Iger, il capo della Disney, dice che avrebbe dato il suo consenso se ci fossero stati i dollari) e il mistero cucito con filo bianco attorno ai motivi delle azioni di Mae non fa altro che instillare una tensione drammatica artificiale.

Quindi cosa c’è di buono in questo? Regno del pianeta delle scimmie troppo pesante? L’esame di Proximus sulla perversione dell’eredità di Cesare per scopi politici, un tema ricorrente in tutte le opere del franchise. È presente anche l’allegoria del razzismo – ci sono interessanti echi del romanzo e del film originale – così come l’esame di questa incessante ricerca di potere. Anche Freya (a parte la sua “missione”) costituisce un’interessante sorpresa, poiché la giovane donna si rivela alla fine la protagonista del lungometraggio (in un colpo di scena già visto nell’ottimo Aria di Ben Affleck).

Ci consoleremo delle delusioni dicendo che, se ci sarà un seguito, la produzione potrà finalmente concentrarsi su ciò che ha costituito il cuore – e il successo – della trilogia degli anni Dieci: l’esame dell’umanità attraverso il occhi delle scimmie.

Voto: 3 su 5

Regno del pianeta delle scimmie arriva sugli schermi del Quebec in vigore dal 10 maggio.

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