Non può crederci, Rabih Kayrouz. Colui che non manca né di riconoscimenti, né di lodi né di onori, prova ancora un immenso tremore nel cuore entrare al Louvre. E questa volta vi entra, non in cerca di ispirazione come fa regolarmente, ma come fonte di ispirazione lui stesso! “Rabih al Louvre, Rabih al Louvre…” il mantra attraversa la testa del creatore, e le lacrime gli rigano le palpebre quando, a volte, sì, non ha più bisogno di darsi un pizzicotto per crederci.
Tra i manichini avvolti in carta bianca che i tecnici del museo fanno rotolare verso i posti assegnati, riconosce il proprio. Siamo nel bel mezzo dell’allestimento della mostra “Louvre couture. Oggetti d’arte, oggetti di moda” che inizia domani, 24 gennaio e durerà fino al 21 luglio. La leggera carta velina sollevata da un impaziente soffio di vento rivela un insieme haute couture piuttosto insolito. Non siamo qui né nei drappeggi convenzionali, né nel ribollire del raso, né nei torrenti di ricami che il genere impone. Il suo modello è composto da un maglione e una gonna, e da lì inizia l’arte che trascende e trasfigura il mondano.
“Da Jdeidet Ghazir al Louvre!” »
Ai piedi del manichino n. 6, vestito con un maglione fatto di treccia di filo metallico e una gonna dello stesso materiale, a strisce di organza e nastri d’oro antico, un piccolo cartello su cui si legge: “Rabih Kayrouz, 1973, Jdeidet Ghazir, Libano”. “Da Jdeidet Ghazir al Louvre!” » dice l’ideatore, ed emerge la vertigine della distanza tra l’oscuro paesino libanese dove è nato e questo punto focale della cultura globale che è il Louvre – semplicemente il più grande museo del mondo. . Come è possibile non comprendere le emozioni? “Da quando ho ricevuto questa e-mail da Olivier Gabet, il curatore della mostra, sono ancora incredulo”, ammette Kayrouz. “Eccomi al Louvre. Piuttosto… una delle mie creazioni è al Louvre. Lei sta lì, in piedi, dietro il calice di San Luigi, nel cuore degli oggetti d’arte del Medioevo francese, di Bisanzio. Non posso fare a meno di pensare al bambino che ero, sognando di diventare grande. Ma il Louvre? No, non l’ho mai sognato. Il Louvre era per gli altri. Eppure eccomi qui…” scrive nella didascalia di questa immagine che non lo abbandona mai: proprio all’ingresso della mostra, il maglione, la gonna, il braccio alzato della modella nera posata sul podio d’acciaio luccicante che la condivide con un modello iconico di Chanel. Questa tunica nera e i suoi pantaloni intrecciati, ricamati in oro con motivi orientali, fanno parte della sontuosa collezione creata da Karl Lagerfeld nel 2010 con l’imperatrice Teodora come musa ispiratrice. Questa è stata la decima edizione del progetto “artigianato d’arte”, destinato a celebrare l’eccezionale know-how degli artigiani della casa. La sfilata si è svolta nei saloni del flagship Chanel, rue Cambon.
Un maglione, una gonna… E Rabih Kayrouz è al Louvre nell’ambito della mostra “Louvre couture. Oggetti d’arte, oggetti di moda”. Foto DR
Un maglione e una gonna
Questa conversazione Kayrouz/Lagerfeld proposta dalla scenografia non è banale. Se sembra aggiungere prestigio all’opera dello stilista libanese, d’altro canto getta una luce diversa sull’orientalismo dello stilista tedesco soprannominato il “Kaiser della moda”. Quanto è più eloquente la complessa semplicità – concetto inseparabile dai virtuosismi della lingua araba – proposta da Kayrouz, in contrasto con la schietta sontuosità espressa da Chanel? Il “lavoro” del libanese, due pezzi separati, un maglione e una gonna, proviene dalla sua sfilata haute couture inverno 2019, proprio l’anno in cui la casa di Rabih Kayrouz ha ricevuto l’etichetta “haute couture”. “Ricordo che oltre agli ovvi abiti da sera, volevo creare un maglione e una gonna, per esprimere la tecnica attraverso un archetipo di abbigliamento. Grazie a Cécile, una simpatica direttrice di officina che lavorava con me in quel periodo, abbiamo potuto sviluppare l’idea” spiega Rabih. “Rivedo Cécile, determinata a finirla prima della sfilata, instancabile, delicata, concentrata. Notti insonni. L’implacabilità. Poi, finalmente, la stanza va avanti. E così è. Persistiamo, ci lasciamo trasportare… E a volte ci riusciamo”, riflette.
Ai piedi del manichino n. 6, un piccolo cartello con la scritta: “Rabih Kayrouz, 1973, Jdeidet Ghazir, Libano”. Foto DR
“Era solo voglia di giocare con i nastri”
Nel dettaglio, la lavorazione a maglia del maglione risponde a un’ossessione per la texture che è la firma di Kayrouz. Per lui l’abito è questa pelle che chiede una carezza diversa sulla pelle, una tattilità sorprendente che inizia dallo sguardo. Il maglione il cui colletto risalta con maestosità gioiello, le maniche raglan raccordate all’insieme in linee capitonné, quest’oro tenue, che non ha bisogno di scoppiare per diventare tesoro, riecheggia nella fluidità della gonna a fasce come se cesellato con una sgorbia nel verderame dell’organza imitando un bronzo sconosciuto… “Una sacerdotessa babilonese! » Ha detto allo stilista il suo amico, l’artista ricamatore Pascal Monteil. “Non ci avevo mai pensato, non avevo nemmeno mai pensato alla genesi di questo pezzo. All’inizio era solo voglia di giocare con i nastri e le cose si sono sistemate – o forse hanno ritrovato il loro posto originario – indipendentemente dalla mia volontà. Abbiamo anche l’impressione, passeggiando per la mostra, che tutti i pezzi dei creatori ritornino al punto di partenza. È straordinaria questa conversazione tra gli abiti, gli oggetti d’arte del museo e il Louvre stesso. Ciò che è molto toccante è che di solito i creatori vanno al museo per trovare ispirazione e, all’improvviso, ecco i nostri oggetti contemporanei installati tra pezzi che arrivano a noi dalle profondità dei secoli e si offrono come fonti di ispirazione”, commenta il progettista.
E quando gli chiediamo, sentendolo ripetere questo incredibile “Sono al Louvre”, se non sia un po’ bovarino con le sue creazioni come Flaubert con la sua creatura, la sua risposta ha senso: “Mi sorprendo spesso a parlare del mio lavoro come se riguardasse me. Questo perché gli amici, gli artisti che indossano le mie creazioni spesso mi dicono “eri con me a questa o quella festa”, “mi hai portato fortuna”, “mi sono messo il tuo cappotto, mi hai avvolto”… Così a volte divento il oggetto che creo. Attraverso i miei abiti avvolgo le donne, le abbraccio nel senso che le prendo tra le mie braccia evitando sempre di soffocarle. È difficile staccarsi da ciò che crei. Mi ritrovo a mettere la mia anima in ogni filo. »
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“Rabih viene da questa parte del mondo che ha visto passare tutte le culture, non si ispira, la cultura lo abita”, commenta il curatore Olivier Gabet a un Rabih Kayrouz stupito da questa scelta di un pezzo, tra tutti, che per lui è la quintessenza del suo lavoro artigianale: spezzoni di nastri cuciti insieme per formare questo maglione, e questa gonna fatta di strisce di organza e passamanerie dorate. Gli resta solo una parola da dire: “Oggi guardo questo pezzo, lì, al Louvre. E ti ringrazio. »
Da visitare senza indugi, la mostra “Louvre Couture. Oggetti d’arte, oggetti di moda” propone fino al 21 luglio un dialogo sorprendente e unico tra i capolavori del dipartimento degli oggetti d’arte del museo e pezzi significativi della storia della moda contemporanea, tra gli anni Sessanta e il 2025, da Cristóbal Balenciaga a Iris van Herpen. Lungo un viaggio nel cuore delle collezioni del museo, su una superficie di quasi 9.000 metri quadrati, un centinaio di silhouette e accessori risuonano in modo accademico, commovente e poetico con la storia. arti decorative, quella degli stili, dei mestieri e dell’ornamento, illustrando gli strettissimi legami che uniscono moda e arte. Tanti prestiti straordinari concessi per la prima volta da quarantacinque tra le case e gli stilisti più emblematici della storia della moda.
Non può crederci, Rabih Kayrouz. Colui che non manca né di riconoscimenti, né di lodi né di onori, prova ancora un immenso tremore nel cuore entrare al Louvre. E questa volta vi entra, non in cerca di ispirazione come fa regolarmente, ma come fonte di ispirazione lui stesso! “Rabih al Louvre, Rabih al Louvre…” il…
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