Da quando ha bruciato tutti i suoi dipinti vent’anni fa, e soprattutto da dieci anni, ha creato un’arte il cui processo è importante quanto l’oggetto, se non di più. “La base del mio processo lavorativoha detto, è archeologico. Quando parlo del mio lavoro, uso la parola ‘scavare’, perché lavoro, in un certo senso, come un minatore dilettante: localizzando materiali, smistando quei materiali, estraendo quei materiali.” Collega questa idea alla sua storia personale e, il suo interesse per i metalli, a quello di suo padre che era commerciante di rottami.
Quando viene invitato da qualche parte, si immerge in un vicino luogo recentemente abbandonato (un ospedale in Ucraina, laboratori farmaceutici in Svizzera, un ex ospedale psichiatrico, ecc.) per estrarre oggetti che, per lui, conservano la traccia, l’anima, perfino la bellezza, di tutte le persone che erano lì.
Per quanto riguarda i Mac, ha trascorso molto tempo nella prigione della foresta poco dopo che era stata svuotata. In questo grande edificio costruito nel 1910 da Edouard Ducpétiaux e oggi chiuso da quando i detenuti sono stati trasferiti nel novembre 2022 nel carcere di Haren, tutto è rimasto quasi come prima, in un degrado degradante. All’inizio della mostra troviamo la vecchia planimetria del carcere e alcune foto e documenti che ne danno il contesto.
Passeggiata lungo il Lys con la pittura in tutte le sue forme (con Daniel Turner)
Sciogliere i radiatori
Girovagando per la prigione deserta, Daniel Turner scattò migliaia di foto in bianco e nero e portò con sé oggetti e rifiuti (tavoli, materassi, termosifoni, lampade, orologi, ecc.). Poi li espone come tali in due stanze dei Mac, ad esempio già pronto di Marcel Duchamp, formando anche delle nature morte: un mucchio di chiavistelli delle porte dei detenuti, pezzi di spatole domestiche, coperte o materassi impilati, o grandi brocche colorate che ricordano con un po’ di fantasia, se concentriamo lo sguardo, il dettaglio di un dipinto di Chardin o Morandi.
O trasforma questi oggetti come un alchimista che trasforma il piombo in arte: una brocca d’olio è stata estratta dalle tavole dei detenuti, un mucchio di una cinquantina di pesanti radiatori (il calore nel freddo delle carceri) è stato versato in una fonderia nel nord del La Francia diventerà due grandi travi di metallo che bloccano la lunga stanza altrimenti vuota dei Mac, come Donald Judd.
O ancora, Daniel Turner macina il metallo, come i pittori di un tempo che macinavano i colori, per realizzare un dipinto in scaglie di ottone che proietta su un muro in una nuvola nera.
Ai Mac, Ariane Loze ovvero il piacere di incrociare i punti di vista
Come Joseph Beuys che, come uno sciamano, ricercava l’energia della cera e del feltro, nelle sue manipolazioni fa precipitare il passato del luogo. Rispondendo a Denis Gielen, sul suo quasi rapporto”spirituale, animista” agli oggetti in cui sembra ritrovare l’anima delle persone che li hanno utilizzati, ha risposto: “Penso che le azioni prodotte nel passato permeano i materiali. Penso che abbia senso immaginare che azioni o conversazioni che hanno luogo da qualche parte sopravvivano nei materiali che le hanno testimoniate. Sento che i materiali che avrebbero qualcosa da dire se potessero parlare .”
gabbianoSento dei materiali che avrebbero qualcosa da dire.
Nell’ultima sala che dà il nome alla mostra, l’installazione “Compressore” (la prigione compressa) è composto da quattro enormi schermi che proiettano a loro volta 1200 immagini della prigione mostrate ogni volta 1 secondo prima di 1 secondo in nero, al ritmo dell’orologio ossessivo dell’ala psichiatrica del carcere, come il battito di un cuore.
Una mostra d’arte minimale ma con l’inquietante fantasma e l’emozione di una prigione vuota e del ricordo che le cose ne hanno conservato. Come questo video che simboleggia l’assurdità di un carcere: ha filmato in primo piano una macchina da cucire usata dai detenuti ma che qui non si ferma mai e non produce nulla.
Daniel Turner, Mac, Grand Hornu, fino al 6 aprile