Alla Bourse de Commerce, l’arte povera in un ricco panorama

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Ciò che li univa era “una libera espressione, legata alla contingenza, all’evento, al presente. » Così il critico d’arte Germano Celant definiva la matrice dell’arte povera. L’unico collegamento, forse, a questo gruppo libero e libertario che ha acceso la scena artistica italiana dagli anni ’60 Unire arte e vita, questa era l’ossessione di questi venti o giù di lì artisti con opere così diverse e così singolari. Non si sono mai uniti sotto un manifesto e ancor meno dietro un dogma.

“Il termine ‘arte povera’ è stato inventato da Germano Celantmorto nel 2020 durante la pandemia di Covid e al quale, in un certo senso, questa mostra rende omaggio. Ma più che una scuola, era una vaga associazione di amici che condividevano credenze e pratiche”, ricorda Carolyn Christov-Bakargiev, eminente specialista del movimento e curatrice dell’immensa mostra che ne risveglierà la memoria, questo autunno, alla Bourse de Commerce.

Foto di gruppo alla mostra “Arte Povera Im-Spazio” di Genova nel 1967. Da sinistra a destra, in piedi: Grazia Austoni, Germano Celant, Mario Ceroli, Pino Pascali, Marcella Marchese, Cesare Tacchi, Emilio Prini; in basso: Umberto Bignardi, Francesco Masnata, Renato Mambor, Jannis Kounellis (dietro), Eliseo Mattiacci, Nicola Trentalance.

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© Archivio La Bertesca, Gênes

Ha ristretto la selezione a 13 di questi maestrie dobbiamo citarli tutti, poiché ciascuno è infinitamente singolare: eccoli nuovamente uniti, come a Torino e Roma qui les ont vus grandir, Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini, Gilberto Zorio, Mario Merz et, seule femme du mouvement, l’épouse de ce dernier, Marisa Merz.

Insalate, luci al neon…

Questa amicizia, questa voglia di ribaltare tutto inoltre, questo è senza dubbio l’unico legame persistente tra l’autoritratto in un annaffiatoio di Boetti, le nature morte congelate nel ghiaccio di Calzolari, gli scritti di fuoco di Kounellis. Terra, lattuga, patate, acqua e carbone, alberi e corpi viventi, loro cogliere tutto ciò che la natura offre nonché gli artifici della cittàneon, acciaio, piombo, lampadine, per reinventare il mondo. “Nel contesto dell’industrializzazione dell’Italia e del dominio della scena artistica americana, la sfida è allora quella di inventare un nuovo rapporto con il mondoandando contro le forze disumanizzanti del consumismo, riconquistando al contempo il “possesso della realtà” secondo l’espressione di Celant”, ricorda Emma Lavigne, direttrice della Collezione Pinault, che ha avviato la mostra.

Jannis Kounellis, Senza titolo [Sans titre]1969–2012, fer, fiamme, 25 × 105 × 11 cm.

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ferro, fiamme • 25 × 105 × 11 cm • Coll. Collezione Pinault • © Collezione Pinault / © Adagp, Parigi 2024

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