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Finanza verde: navigare tra venti mutevoli nel 2025 – 23/12/2024 alle 08:19

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In Europa, la densità delle normative trasforma gli attori economici in compliance agent, con obblighi di pubblicazione di informazioni sulla sostenibilità dei prodotti finanziari e delle strategie aziendali, mobilitando ingenti risorse. (credito: Adobe Stock)

Il 2024 sarà stato un anno misto per la “finanza verde”. Certamente, nella prima metà dell’anno, le emissioni di debito verde saranno aumentate del 7% (secondo la Climate Bonds Initiative), ma questa performance è ben al di sotto del +35% del mercato obbligazionario. E soffiano venti mutevoli che queste cifre non riflettono.

In Europa, la densità delle normative trasforma gli attori economici in compliance agent, con obblighi di pubblicazione di informazioni sulla sostenibilità dei prodotti finanziari (in applicazione del SFDR – Sustainable Finance Disclosure Regolamento) e delle strategie di business (in applicazione del CSRD – Corporate Sustainability Reporting direttiva), mobilitando ingenti risorse.

Negli Stati Uniti, invece, la polarizzazione politica pesa sulle strategie di investimento: tra gli altri stati repubblicani, Texas e Florida hanno adottato leggi che limitano gli investimenti ESG, definiti capitalismo “risvegliato”. Questa ostilità ha portato alcune istituzioni a rivedere i propri impegni per evitare controversie o rischi legali. I principali attori della gestione patrimoniale come BlackRock, Vanguard e Fidelity stanno ora misurando il loro sostegno alle proposte ESG degli azionisti. Nello stesso movimento, le coalizioni sul clima si ritrovano indebolite dal ritiro di alcuni dei loro membri (come JPMorgan, State Street, ecc.).

In questo contesto è addirittura emerso un nuovo termine, “greenhushing”, che designa la crescente tendenza delle aziende a non comunicare le proprie azioni ambientali, al fine di evitare critiche. Questo silenzio tattico può essere interpretato come un segno di confusione o incertezza sulla direzione che stanno prendendo le politiche ambientali.

Questo bilancio della finanza verde, alla fine dell’anno 2024, non è certo slegato dalle tensioni mondiali di cui è eco. Le tre COP (sulla biodiversità a Cali, sul clima a Baku e sulla desertificazione a Riyadh) hanno portato a conclusioni contrastanti, mentre gli scontri geopolitici continuavano (in Ucraina) o aumentavano di intensità (in Medio Oriente).

Inoltre, l’elezione di Donald Trump, pur rafforzando la critica alle strategie ESG negli Stati Uniti, suggerisce un ritiro dall’Accordo di Parigi da parte della nuova amministrazione americana. Allo stesso modo, la promessa di guerre commerciali si aggiunge al mix di incertezze economiche sfavorevoli per gli investimenti a lungo termine. E poiché, al di là del caso americano, metà della popolazione mondiale si è recata alle urne, molti paesi attendono chiarimenti sul sostegno pubblico alle politiche ambientali (la Francia, purtroppo, non fa eccezione…) .

L’indebolimento del sistema Onu precede la COP 30, che si terrà in Brasile nel 2025 e dovrà chiarire il “New Climate Finance Framework”: per dare seguito all’impegno preso alla COP29 di stanziare 300 miliardi di dollari all’anno entro Dal 2035 ai paesi in via di sviluppo, la COP di Belem si concentrerà sullo sviluppo di meccanismi efficaci per mobilitare e distribuire questi fondi. Verrà messo in risalto il ruolo del settore privato, con richieste di maggiore mobilitazione di capitali per integrare (o sostituire…) i finanziamenti pubblici (in particolare quelli che mancheranno allo stato federale americano).

Oltre ai finanziamenti richiesti dall'Accordo di Parigi, entro il 2030 saranno necessari investimenti annuali di 4.000 miliardi di dollari per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, secondo l'Agenzia internazionale per l'energia. Poiché già oggi vengono investiti 2 dollari in tecnologie senza emissioni di carbonio per 1 in fossili, non tutto è perduto. A condizione di non cambiare rotta, nella confusione dei venti mutevoli del 2025…

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