Cotone controverso
“Non usiamo il cotone dello Xinjiang”afferma al BBC Tadashi Yanai, grande capo della società giapponese Uniqlo e uomo più ricco del Giappone. Allo stesso tempo vuole chiarire il suo pensiero, ma non finisce la frase e ritratta: “Inoltre, parlando dei materiali che utilizziamo… in realtà mi fermo qui, i miei commenti sono troppo politici.” E infatti le parole di Tadashi Yanai sono state interpretate come un messaggio politico. Perché questo cotone della regione cinese dello Xinjiang, da tempo rinomato, è oggi criticato per l’utilizzo del lavoro forzato degli uiguri, vittime della repressione. Mentre Pechino ha sempre negato queste accuse.
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Dal 2022 sono entrate in vigore le rigide normative statunitensi sull’importazione di merci dallo Xinjiang. Molti marchi hanno successivamente ritirato dai loro scaffali i loro prodotti realizzati con il cotone dello Xinjiang. In Cina la reazione è stata violenta: H&M, Nike, Burberry, Esprit e Adidas sono state boicottate. All’epoca, l’uomo più ricco del Giappone si rifiutò di confermare o smentire se il cotone dello Xinjiang fosse utilizzato negli abiti di Uniqlo, dicendo che voleva “essere neutrali tra Stati Uniti e Cina”.
Questa settimana ha cambiato la sua strategia nel tentativo di “trasparenza sull’origine dei materiali utilizzati nei propri capi e sulla loro fabbricazione. Questo nuovo posizionamento politico mira chiaramente ad avvicinare Uniqlo agli Stati Uniti, secondo l’analista Isaac Stone Fish, il quale afferma che “Pechino e Washington vogliono che le aziende scelgano da che parte stare, e Tokyo continuerà ad avvicinarsi agli Stati Uniti in questo ambito. Aggiungendo anche quello “nessuna grande azienda può più rimanere politicamente neutrale”.
Essendo l’Asia il mercato più grande per Uniqlo, la Cina rimane molto importante per il business giapponese. Il colosso del fast fashion ha più negozi in Cina che in Giappone, e Tadashi Yanai afferma di non avere intenzione di cambiare questa strategia nonostante le sfide poste dalla seconda economia mondiale. L’uomo d’affari 75enne punta a superare il gruppo Inditex (Zara) come più grande rivenditore di moda al mondo prima di andare in pensione. “Per raggiungere questo obiettivo, Uniqlo deve espandersi non solo in Cina, ma anche in Occidente, dove i consumatori sono sempre più consapevoli delle questioni legate ai diritti umani, come il lavoro forzato.”afferma la giornalista della BBC Mariko Oi, spiegando in questo senso la nuova strategia adottata da Yanai.
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Boicottaggio in Cina
Dopo le dichiarazioni del boss di Uniqlo, in tutta la Cina sono stati lanciati appelli al boicottaggio. Sui social media, milioni di persone pubblicano post con hashtag relativi al tema “Polemica sulle osservazioni del fondatore di Uniqlo”. Possiamo leggere in particolare sulla rete cinese Weibo: “Il cotone dello Xinjiang è il migliore del mondo” o “Io sostengo il cotone dello Xinjiang”.