Sentiamo spesso la parola “resilienza” nel contesto delle principali sfide che affrontiamo: resilienza climatica di fronte al dissesto ecologico, resilienza economica di fronte all’aumento dei prezzi, resilienza sociale di fronte all’isolamento. Negli ultimi anni, eventi significativi, come la pandemia e i ripetuti disastri ambientali, hanno esacerbato le nostre vulnerabilità.
Le nostre istituzioni potrebbero sembrare obsolete di fronte a questi sconvolgimenti, i nostri modi di costruire consenso per i grandi cambiamenti sociali non sembrano più appropriati. Molti di noi si sentono non al passo con i nostri bisogni immediati e futuri, con ciò che vorremmo costruire.
È solo collettivamente che può emergere la nostra capacità di affrontare le grandi sfide del nostro tempo. Ironicamente, la nostra capacità e volontà di creare nuove soluzioni è minata da un semplice fatto: non siamo mai stati così soli.
Velocità
Negli ultimi due anni, quando ho avuto la possibilità di attraversare il Quebec nell’ambito di un importante tour sull’economia sociale, ho potuto vedere come l’attuale modello economico, incentrato sul profitto rapido e sulla crescita a tutti i costi, abbia amplificato l’isolamento e la ridotto la nostra capacità di azione collettiva.
Questo modello si è consolidato nella nostra vita quotidiana: che si tratti di applicazioni per ordinare un pasto senza interazione umana o di acquisti online che sostituiscono le interazioni con le nostre imprese locali, l’immediatezza vince, ma a scapito del tessuto sociale. Poche cose sono così sorprendentemente solitarie come l’iconico sorriso di Amazon su un pacco lasciato alla porta.
L’economia sociale, l’imprenditorialità collettiva, è quindi una risposta a questa solitudine. Queste ONLUS e cooperative che agiscono all’interno del sistema economico offrono un’opzione alternativa ricreando spazi in cui possiamo incontrarci, scambiare e costruire insieme progetti che danno vita alle nostre comunità. Attraverso queste imprese collettive, le voci dei nostri vicini di casa così come quelle dei nostri concittadini nel cuore del villaggio possono essere ascoltate e portare a cambiamenti concreti e positivi. Le azioni individuali si uniscono per servire il bene comune. Piuttosto che massimizzare i profitti per una manciata di azionisti, questo modello di business punta a benefici tangibili per le comunità.
La chiave del benessere
L’economia sociale quindi non è solo un modello di business tra gli altri, è una risposta all’isolamento creato da un sistema economico che tollera un solo vincitore. Coinvolgendoci in un’impresa locale dell’economia sociale o partecipando a progetti di solidarietà, ognuno di noi può contribuire a costruire legami più forti e umani.
Oltre a ridurre la solitudine, questo approccio collettivo aumenta il benessere generale. Gli studi lo confermano: le persone impegnate nella loro comunità si sentono più realizzate e meglio attrezzate per affrontare le sfide, che si tratti della crisi climatica o della precarietà.
Nell’ambito del Mese dell’Economia Sociale mi permetto quindi questa riflessione: esiste un modo per trasformare il nostro sistema economico verso un modello che ci arricchisca collettivamente. Esiste un modo di organizzarsi che costruisce ponti anziché erigere muri.
Per far fronte all’isolamento e alle incertezze che segnano i nostri tempi, dovremo reimparare a restare uniti. Questo è ciò che ci offre l’economia sociale: un’opportunità per ridefinire il nostro rapporto con l’economia e gli altri, un invito a riscrivere la nostra storia collettiva. Questa forza di connessione, questo potere di azione collettiva, spetta a tutti noi coglierlo per infondere nuova vita nelle nostre comunità.
Foto fornita da Béatrice Alain
Béatrice Alain
Direttore Generale del Progetto Economia Sociale