Tra le ultime a padroneggiare la tecnica del merletto a punto Alençon, difende soprattutto la modernità di questo raffinato artigianato.
Di Charlotte Fauve
Pubblicato il 12 gennaio 2025 alle 8:00
UUn ago, un filo e dal nulla emerge il pizzo. “Il ricamo parte da un tessuto che impreziosiamo. Ma il pizzo crea una materia tessile dal nulla, è magico”, sorride Pauline Nkundwanabake. A 32 anni, è una delle ultime merlettaie a custodire un prezioso segreto, quello del merletto a punto Alençon. Un know-how eccezionale, iscritto quindici anni fa nel patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO, che si basa in particolare sulla ripetizione instancabile di un punto fondamentale, il “boucle-twist”.
Dà origine a meraviglie, traforate, aeree, immacolate: la perfezione in fondo alla linea. L’estate scorsa, questa professione in via di estinzione ha ispirato Lacrima, UN favola sociale straziante creata dall’autrice e regista Caroline Guiela Nguyen al Festival di Avignone. Seguiamo tre di queste merlettaie che restaurano il velo nuziale di una principessa inglese.
Opere davvero sorprendenti
Pauline Nkundwanabake ama la boxe ed è infastidita dai cliché obsoleti che circondano la sua antichissima e onorevole professione. “Merlettaia, è evidentemente una vecchia signora che fa centrini al lume di candela, quando questo non accade più. Lavoriamo in condizioni di lavoro ultramoderne, su opere che a volte possono essere molto sorprendenti”, affermaprotesta l’alta bruna, sfoggiando la sua ultima creazione, le vaporose farfalle di origami di pizzo. Perché nel laboratorio-conservatorio di Point d’Alençon, ultima unità produttiva creata nel 1976 e annessa al Mobilier national, le nove merlettaie mettono sempre più il loro know-how al servizio degli artisti contemporanei, perpetuando una tecnica che è stata trasmessa oralmente per trecentocinquanta anni.
Quando la giovane seppe, sei anni fa, che la piccola struttura cercava personale per sostituire tre pensionati, si lanciò nell’occasione. “Ho fatto una prova di due settimane, durante la quale si sono assicurati che non fossi troppo goffo,” ricorda colei che dopo il diploma di maturità optò direttamente per un certificato di artigianato in ricamo d’oro. “In occasione delle Giornate del Patrimonio, ho visitato con mia madre le cripte della cattedrale di Nantes. E lì, guardando le pianete, ho avuto uno shock: era magnifica, avevo voglia di imparare. »
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Un concorso dopo, eccola impiegata nel pubblico impiego, impegnata a perfezionarsi in quest’arte infinitamente complessa e divisa in dieci fasi successive di produzione. Dal disegno alla lavorazione finale, dove, con delicatezza, l’artigiana liscia il pizzo appena tolto dal suo cartoncino… con una chela di aragosta. Anche il motto del laboratorio è intriso di umiltà: “Ma non troppo”, ovvero una mano flessibile e ferma, per non rischiare di rompere il finissimo filo di cotone egiziano. “Il pizzo mi calma, confida la giovane donna. I primi due anni ero molto concentrato. Non potevo nemmeno ascoltare la musica allo stesso tempo. Ora c’è come un’intelligenza nelle mie mani, agisce al mio posto. È diventata un’attività molto meditativa. »
Per il velo di Lacrima, le merlettaie – le cui mani esperte Caroline Guiela Nguyen aveva filmato – si sono alternate per riprodurre un medaglione, diverse artigiane hanno lavorato a turno sul modello in modo che ognuna potesse riposare gli occhi. Dimostrando ancora una volta che il pizzo, lungi dall’essere un mestiere polveroso e solitario, richiede spirito di squadra.
Il suo oggetto: la chela dell’aragosta
L’ultima fase del merletto a punto Alençon è il luching, ovvero l’atto di stirare a freddo le imbottiture dell’opera. Con delicatezza, l’artigiana liscia il pizzo appena tolto dal suo cartone, utilizzando una chela di aragosta. La leggenda narra che nel XVII secolo questo gesto veniva compiuto con la zanna di un lupo: i canini erano allora numerosi nella vicina foresta di Écouves. Ne abbiamo solo uno per tutti, dev’essere molto vecchio, risale almeno all’apertura del laboratorio! Si tratta di uno strumento essenziale quanto l’ago numero 12 che la casa Bohin, fondata più di centonovanta anni fa e ultima manifattura francese in attività, produce tuttora.
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