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le ultime confessioni di Jean-Marie Le Pen sulle torture durante la guerra d’Algeria

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Jean-Marie Le Pen, durante un incontro, nel febbraio 1973. AFP

Dalla morte di Jean-Marie Le Pen, avvenuta il 7 gennaio, numerose personalità gli hanno reso omaggio. “Un combattente” per il primo ministro François Bayrou. UN “visionario” per il presidente del Rally Nazionale (RN), Giordano Bardella. Come se il vecchio leader di estrema destra, cofondatore del Fronte Nazionale nel 1972, fosse cambiato nei suoi ultimi anni, voltando le spalle a una vita di razzismo e antisemitismo… Eppure, non era così: Le Pen non ha mai smesso di essere Le Pen; non si tratta, ai suoi occhi, di adattarsi allo schema della normalizzazione tanto desiderata da sua figlia Marine. Il mondo possiamo attestarlo: tra il 2018 e il 2022, lo abbiamo incontrato una ventina di volte in totale, al maniero di Montretout, nella sua villa a Rueil-Malmaison (Hauts-de-Seine), a La Trinité-sur-Mer (Morbihan) o in un albergo a Jungholtz (Alto Reno). Interviste regolari, registrate con il suo consenso, che mostrare Jean-Marie Le Pen come è sempre stato: omofobo, razzista, antisemita.

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Tra la moltitudine di argomenti trattati, solo uno a volte scatena la sua rabbia: la “sua” guerra d’Algeria. Il vecchio paragrafo 1È Il reggimento paracadutisti straniero della Legione Straniera lo aveva riconosciuto, nel novembre 1962, sul giornale Combattereavere “torturato perché doveva essere fatto”. Lo negò poi per il resto della sua vita, nonostante l’accumulo di prove: testimonianze di vittime raccolte all’inizio degli anni ’80 da L’anatra incatenata et Liberazionepoi, nel 2002, un’indagine schiacciante di Mondo rivelando l’esistenza di un pugnale con inciso il nome “JM Le Pen, 1È REP »lasciato sul luogo dell’assassinio di Ahmed Moulay, torturato dai paracadutisti nel 1957. Jean-Marie Le Pen aveva perso il processo per diffamazione contro il quotidiano.

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