Il mercato azionario americano sta tornando alla realtà delle cifre, in un’economia ancora in buona forma ma in cui l’inflazione non scende più.
La manifestazione post-elettorale americana è finita mentre l’amministrazione Trump si prepara a prendere le redini del potere. Il mercato azionario americano sta quindi tornando alla realtà delle cifre, in un’economia ancora in buona forma ma in cui l’inflazione non scende più, costringendo la Fed a rivedere il numero di tagli dei tassi quest’anno.
Tra pochi giorni inizierà la seconda fase della presidenza di Donald Trump e il minimo che possiamo dire è che le ultime settimane sono già state ricche di dichiarazioni, più o meno eccentriche, del futuro presidente americano. In ogni caso, sarebbe stato quasi deludente se Trump non avesse fatto Trump in termini di comunicazione e i mercati dovranno abituarsi nuovamente a questo nei prossimi 4 anni.
Dopo aver anticipato e festeggiato la vittoria del miliardario americano a novembre, i mercati azionari hanno progressivamente perso quota, tanto che dovremmo ritrovarci con una performance quasi pari a zero tra il giorno dei risultati del voto e quello dell’insediamento del nuovo presidente. Molti fattori spiegano questo, inclusa una parte della psicologia, Donald Trump non ha eguali nel galvanizzare i suoi sostenitori e nell’esercitare l’arte della negoziazione bellicosa. Tuttavia, ciò che ha preoccupato i mercati nelle ultime settimane sembra essere più concreto: il ritorno dell’inflazione, o meglio la sua mancata scomparsa. In definitiva, non sta andando tutto in salita con Donald Trump?
Basta scherzi, non è ancora il momento di chiedersi se gli operatori abbiano considerato i mercati azionari troppo positivi per i prossimi mesi, ma tra alcuni cominciano a insinuarsi i dubbi. Il recente atteggiamento della banca centrale americana non ha sorpreso nessuno, ma ha confermato agli investitori che, a differenza di un anno fa, dovranno moderare le loro aspettative in termini di tagli dei tassi e che solo i dati economici che puntano verso un’inflazione controllata e un mercato del lavoro in qualche modo in rallentamento sarebbero credibili. trigger. Non proprio quello che suggeriscono gli ultimi dati statunitensi.
Nessun pessimismo eccessivo, però. Che l’economia americana continui a funzionare a pieno regime e che ciò generi inflazione, impedendo quindi alla FED di abbassare i tassi quanto vorrebbe il mercato (o Donald Trump), non sembra essere un argomento sufficiente. per stare lontano dalle azioni. D’altro canto, sembra saggio non credere ai miracoli, soprattutto a quelli che l’amministrazione Trump sembra voler realizzare.
L’applicazione di certi concetti ultraliberali menzionati qua e là e volti ad affermare la supremazia americana o a correggere situazioni commerciali ritenute ingiuste sarà per sua natura inflazionistica. L’introduzione di tariffe o il rimpatrio al confine di manodopera straniera a basso costo sembra essere una pessima notizia per il consumatore americano e indurre un aumento di alcuni costi di produzione per i manager aziendali.
Resta quindi da vedere in che misura tali misure consentirebbero alle aziende americane di guadagnare quote di mercato o promuovere l’occupazione dei cittadini americani, dato che il tasso di disoccupazione è già basso. Inoltre, sembra probabile che l’effetto inflazionistico dell’implementazione delle tariffe e/o di una politica migratoria più conservativa sia più immediato del potenziale impatto positivo sulla macchina economica americana.
Tra i miracoli da non credere subito sui mercati azionari c’è quello delle piccole e medie capitalizzazioni americane che compenserebbero il gap prestazionale rispetto ai big del mercato azionario. Se vogliamo rimanere pragmatici, il costo del finanziamento per questo tipo di imprese rimane troppo elevato nel contesto attuale. È quindi verso San Girolamo (Powell!) che devono rivolgersi e quest’ultimo ascolterà le loro preghiere per un taglio dei tassi solo una volta respinto lo spettro inflazionistico.
Un secondo miracolo su cui non bisogna contare troppo affrettatamente è quello della riduzione del deficit americano. Con tutto il rispetto per gli adoratori di Elon Musk, sembra improbabile che l’azione del DOGE (dipartimento per l’efficienza governativa) di cui è a capo (o anche molto di più…) sia sufficiente e soprattutto rapidamente attuabile per vedere il l’aumento vertiginoso del debito americano moderato. I metodi muscolosi del fondatore di Tesla in termini di organizzazione nonché l’uso probabilmente intensivo dell’intelligenza artificiale contribuiranno sicuramente a “sfoltire il mammut” dell’amministrazione americana per usare la nota espressione del recentemente scomparso Claude Allègre, allora Ministro francese dell’Istruzione nazionale. Da lì all’inversione rapida di una tendenza grave come quella del deficit di bilancio della prima potenza mondiale c’è indubbiamente un passo. Inoltre, il costo del servizio del debito americano nell’attuale contesto di tassi di interesse elevati incombe ora sul bilancio (superiore a quello della difesa). Su questo punto è ancora verso san Girolamo che dovremo rivolgerci, con tutto il rispetto a san Paperino.
Come si suol dire, è meglio parlare con Dio che con i suoi santi. Quando si tratta di investimenti a lungo termine nei mercati azionari, Dio sono le aziende e i loro risultati. In altre parole, anche se Donald Trump e Jerome Powell dispongono di mezzi potenti per influenzare i mercati, è piuttosto l’applicazione dei sacrosanti principi di investimento che sembra ancora importante quest’anno. La diversificazione dei portafogli e la solidità dei bilanci delle società partecipate sono da privilegiare di fronte alle dichiarazioni potenzialmente miracolose del nuovo presidente americano, le cui doti oratorie potrebbero facilmente indurre alcuni investitori a non separare più il grano dalla pula.
Related News :