Fdovrebbe ridimensionare le manifestazioni dei francesi in festa per la morte di Jean-Marie Le Pen, riconducendole alla giovinezza, all’ebbrezza del momento e alla gioia violenta che esprimono mostrando i ritratti del defunto e dei suoi cari messi alla spada, o cantando “Next” – o meglio “Next”?
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La morte del politico che si era reso insopportabile parlando in particolare delle camere a gas come di “un dettaglio della storia” della seconda guerra mondiale, morto all’età di 96 anni, giustifica il giubilo in diverse città? Non aveva mai ricoperto la benché minima carica governativa, ricordiamolo. La questione non è nemmeno se meritasse o meno una simile frenesia, ma se questa celebrazione non getti una luce disastrosa su una certa cultura e tradizione politica francese.
Le uscite mediatiche di Jean-Marie Le Pen hanno spesso disonorato il suo impegno pubblico, e c’è da chiedersi se coloro che hanno bevuto alla salute di un cadavere ancora fumante la sera del 7 gennaio non abbiano coperto di disonore gli ideali che dicono essere i loro.
Non è quindi un episodio privo di valore simbolico quello di questi assembramenti spontanei che celebrano la morte di un vecchio malato, e invocano la morte di nuovi personaggi politici. Queste manifestazioni puzzano di sangue. All’inizio mi sono indignato, poi gradualmente ho capito che la cosa era più grave: dicono qualcosa della nostra storia e ne sono anche, da un certo punto di vista, molto degni.
Trionfo morboso
Si canta spesso l’elogio della Francia di Voltaire, dell’Illuminismo, di La Fayette, di Hugo, di De Gaulle e di Simone Veil. Ma se era la Francia del Terrore, quella di Marat e di Carrier, la Francia delle donne rasate nelle pubbliche piazze, cosa ci cantavano i festaioli del 7 gennaio? È il paradosso del nostro Paese essere un paese in cui, contemporaneamente all’adozione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, movimenti di folla hanno effettuato la selvaggia decapitazione di uomini considerati nemici della gente della strada, nonostante gli assassini che impugnavano coltello ha affermato di essere sostenitori dei diritti umani.
L’odio dei tiranni e dei nemici dell’uguaglianza legittimava, ai loro occhi, le umiliazioni inflitte ai cadaveri e le danze macabre attorno alle teste affiancate in cima a picche grondanti di sangue. Unendosi per strada al canto di Carmagnole e Ça ira, ça ira, gli aristocratici con la lanterna!, queste folle festeggiavano la morte in nome della Rivoluzione Popolare. Dovevano distruggere il corpo fisico e il corpo simbolico del re e ciò che rappresentava: così veniva mostrata alla folla la testa di Luigi XVI, tenuta per i capelli; fu così che il defunto re venne deriso per aver tremato come un codardo sul patibolo, il che era falso poiché anche il boia Sanson si indignò per questo abbattimento post mortem, spiegando che Luigi Capeto aveva mostrato dignità e perfino coraggio.
È così che il 21 gennaio, data della sua esecuzione, fu dichiarata festa nazionale importante sotto la Prima Repubblica. Lo stesso morboso trionfo circonda l’esecuzione di Charlotte Corday che aveva appena assassinato Marat: anche la sua testa insanguinata viene brandita a distanza e persino schiaffeggiata con orgoglio da un assistente del boia; verrà addirittura effettuata l’autopsia per verificare se fosse effettivamente vergine e, sfortunatamente per i giacobini, lo era. Le stesse scene di giubilo popolare accompagnarono l’esecuzione di Robespierre, il 10 Termidoro anno II, al punto che anche il giorno della sua morte fu dichiarato festa nazionale, festa appunto della libertà. Così, ogni 21 gennaio e 28 luglio, nelle pubbliche piazze venivano accesi grandi falò e bruciata l’effigie dei due “tiranni” per sottolineare l’odio che avrebbero dovuto ispirare.
Rispetto del lutto
Potremmo credere che queste manifestazioni di piazza sotto il Terrore cantando e celebrando la morte siano state bandite da allora dalle nostre tradizioni “repubblicane”? È proprio il contrario. Abbiamo visto con quale gusto gli amanti della ghigliottina mostrarono Maria Antonietta con la testa tra le mani davanti a una finestra della Conciergerie, la sera dell’inaugurazione dei Giochi Olimpici. Ancora oggi, il 21 gennaio è celebrato come giorno di festa alla Sorbona dagli accademici che vogliono rievocare il rito giacobino, e lì viene addirittura mangiato il tradizionale maiale patriottico, con una bevanda in mano, per ricordare l’umiliante immagine popolare di Luigi XVI. Inoltre, a differenza di Jean-Marie Le Pen, ricordiamo che questo monarca e Robespierre governavano il paese.
Sì, le danze notturne di Place de la République, nel 2025, hanno il sapore del sangue e, per un attimo, vedendo uno spettacolo di strada del genere, mi è sembrato di vedere riaffiorare i fantasmi del passato, quelli stessi che furono battezzati “Bevitori di Sangue”. ” e “Antropofagi” dopo la fine del Terrore, a significare la barbarie di cui sono capaci i cittadini della più bella delle repubbliche quando l’odio politico viene a nascondersi, o meglio soffocare, con il suo velo morboso, uno dei principi più alti delle democrazie: il rispetto della dignità umana. In questo caso, l’odio verso il razzismo non può giustificare l’abrogazione da parte degli uomini di uno dei valori essenziali della civiltà: il rispetto, per un periodo di tempo più o meno breve, del lutto di una famiglia che piange la perdita di una persona cara.
Conati di vomito
È questo “odio” che estende e accompagna la carica di boia, glorificando una testa piantata sull’estremità di una picca, che Robert Badinter aveva combattuto dicendo che era una macchia di vergogna sulla bandiera francese. “Niente giustifica questo grado di violenza, non fisica ma verbale. » E subito ha aggiunto che nulla giustifica le scuse per l’odio e l’assassinio di «qualsiasi politico, qualunque politico» (sul set di France 5 nel gennaio 2020). Sono gli stessi che non rispettano i minuti di silenzio negli stadi, gli stessi che vandalizzano le nostre statue, gli stessi che giocano a calcio con un pallone su cui è disegnata la testa di un ministro, gli stessi che bloccano il università nel periodo tra due turni elettorali.
Gracco Babeuf e Chateaubriand furono testimoni delle prime selvagge esecuzioni del 1789 e videro questi strani frutti rossi in cima alle picche, ed entrambi vomitarono allo spettacolo della folla che trasportava i loro trofei per le strade. ” OH ! come mi ha ferito questa gioia! scrive Babeuf alla moglie. Ero sia soddisfatto che insoddisfatto; Ho detto tanto meglio e troppo male. Capisco che il popolo faccia giustizia, approvo questa giustizia quando è soddisfatta dall’annientamento dei colpevoli, ma non potrebbe oggi essere crudele? »
Da scoprire
Canguro del giorno
Risposta
Ciò mi ricorda anche ciò che meditava il deputato Adrien Duquesnoy assistendo alle scandalose scene di “anarchia” delle manifestazioni popolari incontrollabili della Rivoluzione parigina: “I buoni cittadini”, descrive, “gemevano di fronte ad una scena che può farci dispiacere”. per noi stessi. scandalo e zimbello dell’Europa. » Duquesnoy era un forte sostenitore delle idee del 1789 e aveva la convinzione che i popoli democratici non possono comportarsi come i loro nemici che criticano per ciò che essi stessi si affrettano a imitare.
*Loris Chavanette è uno storico, specialista della Rivoluzione francese. È autore di “La tentazione della disperazione” (Plon, 2024).
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