Domenica il prossimo presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha riproposto la sua vecchia idea di far comprare al governo statunitense la Groenlandia, l’enorme isola che fa parte del territorio della Danimarca. Ne aveva già parlato nel 2019, e allora come oggi sia il governo danese sia quello locale della Groenlandia hanno detto che l’isola non è in vendita. C’è una ragione, però, per cui ormai da qualche anno la Groenlandia attira interessi e attenzioni di leader politici e imprenditori di mezzo mondo, e ha a che fare con il suolo dell’isola.
La Groenlandia è infatti ricchissima delle cosiddette terre rare: un gruppo di metalli necessari per il settore tecnologico, perché hanno un ruolo fondamentale nella costruzione dei microchip e di vari componenti, ma anche per la transizione energetica. Servono per esempio per produrre le batterie dei veicoli elettrici. Al momento il paese da cui proviene la maggior parte delle terre rare è la Cina, che per questo mantiene una specie di monopolio nel settore.
Da anni i governi e le aziende occidentali cercano posti alternativi per ridurre la dipendenza dalla Cina. E la Groenlandia è uno dei posti più promettenti al mondo per l’estrazione di questi materiali.
L'Economista nota che dei 50 materiali che il Dipartimento di Stato statunitense considera terre rare, la Groenlandia ha riserve sotterranee conosciute di circa 43. Fra le terre rare presenti in Groenlandia ci sono fra le altre il molibdeno, un metallo che fuso in piccole dosi con l’acciaio ne migliora diverse qualità, e il terbio, essenziale per produrre magneti utilizzabili nel settore della difesa.
Il cambiamento climatico peraltro sta facendo aumentare le temperature anche in Groenlandia, facendo sciogliere i ghiacciai e rendendo più agevole l’estrazione di materiali dal sottosuolo. Nel 2014 erano soltanto 12 i siti in cui si perforava il suolo alla ricerca di terre rare: oggi sono 170, scrive sempre l’Economista.
Dal punto di vista economico e sociale, però, la Groenlandia è un paese piccolo e periferico. Ci vivono poco più di 50mila persone, di cui 18mila nella sua capitale Nuuk, che ha meno abitanti dell’isola d’Elba. I chilometri di strade asfaltate sono appena 90, mentre i primi voli internazionali diretti fra Nuuk e il resto del mondo sono partiti qualche settimana fa. In un posto del genere non esistono aziende che hanno i mezzi o i capitali per avviare operazioni delicate e costose come quelle che servono per estrarre terre rare.
L’88 per cento degli abitanti è di etnia Inuit e piuttosto sensibile al tema dello sfruttamento del proprio territorio. Molti di loro vanno a caccia, praticano sport o attività all’aperto o comunque ritengono che l’ambiente in cui vivono vada contaminato il meno possibile. Nel 2021 il governo locale cadde perché la coalizione che lo sosteneva non era d’accordo su come sfruttare una enorme riserva di uranio, considerata la quinta più grande al mondo ma anche potenzialmente pericolosa per l’ambiente circostante. In precedenza i diritti di esplorare la riserva erano stati dati in concessione a una società australiana posseduta in parte anche dalla Cina.
Le elezioni furono poi vinte dal partito di sinistra Inuit Ataqatigiit, che quell’anno vietò sia lo sfruttamento della miniera di uranio sia le estrazioni di petrolio in tutto il proprio territorio.
Una vista sulla baia di Ilulissat, in Groenlandia (Sean Gallup/Getty Images)
Da allora il governo è molto attento a concedere nuove licenze e concessioni per esplorare riserve di terre rare. Una delle aziende più attive in Groenlandia al momento è KoBold Metals, finanziata da due imprenditori ricchissimi come Bill Gates e Jeff Bezos, che promette di impiegare l’intelligenza artificiale per individuare potenziali riserve di terre rare minimizzando l’impatto ambientale di ricerche troppo invasive.
Al momento comunque «nessuno pensa che le riserve della Groenlandia siano grandi abbastanza da renderla l’Arabia Saudita del nickel o del titanio», ha scritto il New York Times. Gli eventuali ricavi dall’estrazione di terre rare insomma non sarebbero nell’ordine delle centinaia di miliardi di euro, come quelle che il petrolio garantisce a diversi paesi del Golfo persico: ma sarebbero comunque sufficienti per cambiare la vita della comunità umana dell’isola. La società australiana che aveva avuto la concessione per estrarre uranio stimava che a regime avrebbe versato circa 200 milioni di euro all’anno in tasse al governo locale.
Diversi groenlandesi, timorosi di danni all’ambiente, sono ben più interessati allo sviluppo dell’industria ittica e soprattutto di quella turistica. L’apertura di diverse rotte internazionali a Nuuk va proprio in questa direzione. Nel 2023 in Groenlandia sono arrivati circa 130mila turisti. Finora però fra aprile e agosto i posti disponibili per arrivare in Groenlandia in aereo erano circa 55mila. Dall’estate del 2025, grazie alle nuove tratte, diventeranno 105mila.
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