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Genoa-Napoli, il punto del giorno dopo – La filosofia del Cordobés di Antonio Conte. Gli azzurri ripartono da Udine e scartano il regalo di San Meret

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Ricomincio dal “Friuli”. Circa 518 km più ad ovest, in quel calderone ribollente un po’ britannico e un po’ argentino che è il Marassi di Genova, il Napoli risuona una bella sinfonia, ma solo per metà spettacolo. Nei primi 45’, l’armata bianca di Antonio Conte, priva di Buongiorno, non sente affatto la mancanza del suo totem difensivo perché è autorevolmente riversata in avanti a creare pericoli costanti alla porta di Leali e alla retroguardia genoana: Neres è una spina nel fianco come ad Udine, MacTominay e Anguissa dividono le acque. Il camerunense, in particolare, è bravissimo a spizzare di testa su un cross al bacio dell’ex Ajax e Benfica e a portare in vantaggio i partenopei. Vantaggio che aumenta quando, sempre dal lato sinistro del campo, è Lobotka a mettere un cross al cioccolato per Rrahmani, che ringrazia, scarta e fa 2-0. Arriverebbe anche il 3-0 ma una serie di irregolarità impediscono a Scott MacTominay di iscrivere il suo nome nel tabellino. Qui finisce, di fatto, la partita offensiva degli azzurri e ne comincia una di resistenza, stridore di denti e di paura, soprattutto per il pubblico da casa. Sale, perciò, in cattedra Alex Meretvero e proprio protagonista di tutta la seconda frazione di gara, con almeno tre parate provvidenziali. Tre, come i punti che il Napoli non avrebbe certo fatto suoi, senza l’ex n.1 di Udinese e Spal.

Spinta anche dal pubblico genoano, la squadra di Patrik Vieira – alla prima sconfitta sulla panchina del Grifone – ha “rischiato” di pareggiare una partita mai in discussione nel primo tempo, Pinamonti, autore del gol che accorcia il risultato, e anche con Balotelli, mai così pericoloso negli scampoli di gara concessigli in precedenza. Il Napoli di Conte visto a Genova racchiude la massima espressione della filosofia del Cordovaovvero di quel torero spagnolo che attirava il toro talmente a sé che pareva evidente volesse morire. Il Napoli di Conte si porta il nemico in casa, ne incassa i colpi, uno, due, tre, ma vince l’incontro. Perché? Qual è il pro di questo masochismo? Non è dato saperlo. Ci basti sapere che il motivo per cui Conte vince in questo è perché lui è un Cordova che guarda il toro negli occhi, lo studia, lo conosce e poi, in qualche modo, lo disinnesca. Ecco perché, nel secondo tempo di Genova non c’è la vergona dell’esser stati remissivi contro un avversario di gran lunga inferiore, bensì la consapevolezza di non essersi smarriti nonostante le difficoltàcosa che capitava frequentemente nella scorsa, sciagurata stagione.

Invece, ieri, 21 dicembre, ci ha pensato Babbo Natale Alex Meret a fare da torero in campo, restando fermo nei pali e parando i ripetuti colpi di un grifone comunque in salute, padrone di casa su un campo dove persino i Campioni d’Italia dell’Inter hanno dovuto lasciare puntisia quest’anno che nell’anno dello scudetto. Quello di Genova, così come quello di Torino, rappresenta uno storico feudo crocevia che testa nella pratica le ambizioni di ogni club. Quelle del Napoli, checché ne dicano gli addetti ai lavori azzurri, portano allo scudetto e non potrebbe essere altrimenti dato l’esiguo numero di gare che restano a Conte e soci fino alla fine della stagione: ventuno, a fronte degli impegni multipli delle dirette contendenti al tricolore. Basterà un approccio non totalmente protagonista e talvolta remissivo per il bottino pieno? No di certo. Ecco perché ripartire dal secondo tempo di Udine e dal primo tempo di Marassi, mantenendo l’asticella così alta, deve diventare un mantra nel lavoro costante del tecnico Salentino e dei suoi interpreti.

Foto: SSC Napoli

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