Il 2 dicembre 1984, una fuga di gas tossico in questa città del Madhya Pradesh causò il più grande disastro industriale della storia. Da allora almeno 20.000 persone sono morte a causa di questa contaminazione. I sopravvissuti e i loro discendenti continuano a soffrire e a chiedere giustizia in questo caso, diventato un simbolo globale dell’impunità multinazionale.
Nel freddo inverno dell’India settentrionale, gli abitanti di Bhopal si svegliano vomitando, con bruciore alle vie respiratorie e agli occhi, e tossendo per contorcersi dal dolore. Ancora non lo sanno, ma hanno respirato – tra le altre cose – isocianato di metile, un gas 500 volte più tossico dell’acido cianidrico. È il 3 dicembre 1984 e comincia l’incubo di Bhopal.
Poche ore prima, una perdita nella fabbrica di pesticidi della multinazionale americana Union Carbide, nel cuore della città, aveva diffuso una nube di gas mortali per tutta la città. Solo oggi diverse migliaia di persone moriranno di soffocamento, edema polmonare o cerebrale. Le sofferenze sono tali “Preghiamo Dio affinché muoia presto”ricorda Rashida Bi, all’epoca 25 anni.
Una prova infinita
Risarcimento irrisorio
Un sito ancora inquinato
“Continueremo a lottare”
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