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Quando Ursula Von der Leyen vince senza convincere

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Lorenzo Consoli, corrispondente a Bruxelles per l'agenzia di stampa italiana Askanews, di cui riportiamo alcuni articoli, è stato uno dei relatori al “banchetto europeo” di Save Europe, sabato scorso, 9 novembre a Bruxelles. Ci sembra rilevante leggere l'opinione di uno dei presidi delle sale stampa di Bruxelles, che ha lavorato anche con i gruppi informativi della Commissione e del Parlamento europeo, e di Greenpeace.

Lontani da obiettivi ambiziosi, un cambio di paradigma, un'assunzione coraggiosa di responsabilità, una chiamata alle armi, come avvenne cinque anni fa con il Green Deal: il discorso con cui Ursula von der Leyen dovette convincere la maggioranza del Parlamento europeo a votare per la fiducia nella sua nuova Commissione il 27 novembre a Strasburgo, si è rivelato poco ispirato e poco convincente. Per niente straordinario, stanco, senza visione, senza un progetto faro che indichi la strada.

Una nuova versione del Green Deal proposta da Ursula von der Leyen, il Clean Industry Act, di cui non si conosce ancora il contenuto, sarà probabilmente solo un tentativo di semplificare, o addirittura deregolamentare, l’attuazione delle norme già approvate per il transizione verde. Il tutto con poche risorse visto che il presidente della Commissione non vuole nemmeno sentir parlare di nuove emissioni di debito comune.

L’impegno a “mantenere la rotta” sul Green Deal sarà presto minato da iniziative volte ad annacquare e ritardare l’attuazione del regolamento sulla riduzione delle emissioni di CO2 dei veicoli (con l’obiettivo di arrivare a zero nel 2035) e da una probabile distorsione del regolamento CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism) che prevede la progressiva introduzione, dal 2026 al 2034, di “tasse climatiche” sulle importazioni di energia nell’UE e altri prodotti provenienti da industrie ad alta intensità energetica come cemento, acciaio, prodotti chimici e fertilizzanti, provenienti da paesi che non dispongono di sistemi equivalenti all'ETS (lo “scambio” europeo di permessi di emissione).

In un’Europa ideale, Ursula Von der Leyen avrebbe già un grande progetto sul tavolo per i prossimi cinque anni del suo mandato se davvero intendesse dare pieno seguito, con misure concrete, ambiziose e coerenti, ai rapporti Draghi e Letta sul futuro dell'Unione Europea. La competitività europea e il continuo sviluppo del mercato unico, senza utilizzarlo come un menu “à la carte”, in cui puoi prendere solo alcune pietanze a tua scelta, ignorando o scartando le altre.

Possiamo già prevedere che mancherà la volontà politica da parte della Commissione e degli Stati membri di attuare finalmente una vera politica industriale europea. E che mancheranno i finanziamenti, sia pubblici che privati, per finanziare gli ingenti investimenti necessari alla transizione verde restando competitivi, secondo le raccomandazioni di Mario Draghi. Alla fine, si può prevedere, la (buona) raccomandazione di semplificare gli oneri burocratici per le imprese verrà innanzitutto accolta, ma interpretata (erroneamente) come un invito alla deregolamentazione.

Intanto si prepara il confronto tra le due componenti della “maggioranza allargata Ursula von der Leyen” che ha votato eccezionalmente la fiducia, quella del centrosinistra (S&D e Renew e Verdi) e quella del centrodestra (PPE e ECR). ), un vero e proprio unicorno che difficilmente si ripresenterà durante le votazioni sulla legislazione europea. Vedremo di nuovo la “maggioranza venezuelana”, vale a dire un’alleanza PPE-ECR sostenuta dall’esterno dalle voci dei gruppi di estrema destra dei sovranisti (ESN) e dei “Patrioti” (PFE). Innanzitutto ogni volta che si presenta l’occasione per invertire la rotta sul Green Deal, ma presto anche e soprattutto sulle questioni di immigrazione e asilo.

Il resto dell'articolo può essere letto su Askanews. Trova un traduttore dall'italiano al francese qui.

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