Sicuramente meno appariscente del recente Francia – Nuova Zelanda, l'ultimo capitolo di questo tour autunnale assume maggiore importanza, con l'obiettivo di regolare i conti di un'estate argentina durata fin troppo…
Era una sera d'autunno del 2015. Sotto il tetto d'acciaio del Millennium di Cardiff, la truppa del “goret” di Saint-André stava completando attentamente l'allenamento del capitano, l'ultimo turno di riscaldamento prima dei quarti di finale della Coppa del Mondo che avrebbe rivelarsi, come ora sappiamo, più che cruento. Mentre Thierry Dusautoir e i suoi compagni si avvicinavano al corridoio degli spogliatoi, abbiamo intercettato Serge Blanco, che allora accompagnava Philippe Saint-André nella sua dolorosa missione, per chiedergli se pensava davvero che questa sfilacciata squadra francese avesse la possibilità di battere i migliori. Neri di sempre. Il Pelé del Rugby aveva deviato leggermente dalla sua traiettoria, ci guardava e, beffardo, ribatteva. “Vinceremo”. Oh sì? Ma perché? “Perché siamo francesi, beh!”
Se il presagio ovviamente non si è verificato, abbiamo capito, a posteriori, cosa intendeva il grande Serge e cioè che, a causa di un malinteso o di un inspiegabile spostamento collettivo, una selezione tricolore, per quanto indebolita, resta nell'inconscio popolare capace di ribaltando le montagne. “Aspettatevi l'inaspettato”*, gli avversari dei Blues hanno addirittura giurato a lungo, senza che noi sapessimo se lo pensavano davvero davvero.
In ogni caso, la naturale estensione di questo concetto etnografico, a patto di prenderlo al contrario, si adatta piuttosto bene alla contemporaneità della scelta tricolore: perché sarebbe, in definitiva, molto “francese” sguazzare contro l'Argentina una settimana dopo aver stravolto le carte in tavola. collo della Nuova Zelanda, attraversando una piccola crisi sullo sfondo del “disagio di Jalibert” e, in definitiva, dando a questo tour autunnale un aspetto molto meno coinvolgente di quello che era nato sono oggi. Storicamente, i Pumas eccellono infatti nell'arte di distruggere ciò che il XV di Francia sta lavorando duramente per costruire e, come fecero nel 2007 all'apertura della Coppa del Mondo o sette anni dopo quando la selezione francese vide, a Lille, finire un tour autunnale imbattuti per la prima volta in dieci anni, i ragazzi di Felipe Contepomi si vedrebbero rovinare la festa e, così facendo, ricordarci che il il tango non è altro che un pensiero triste che si balla.
Ammettiamo che con loro spesso è la stessa storia: gli argentini arrivano in Francia sostenendo di essere nel migliore dei casi gli ultimi romantici del rugby mondiale, nel peggiore dei parenti poveri del primo terzo della piramide. Fanno piangere nelle casette, fanno piangere a loro volta quando emettono le prime note di questo inno che, privo o quasi di parole, fa le fusa per cinquanta secondi prima di trasformarsi improvvisamente in un grido di guerra. Poi si toccano le caviglie come se giocassero la vita su questa unica quadriglia, “contro-ruck” come dei maniaci e, con le mani al cielo, implorano umilmente il direttore del gioco di risparmiare la vita a Marcos Kremer o chiunque esso sia il gringo che si era appena tuffato a capofitto in un gruppo. Alla fine lanciano, in una lingua che padroneggiano perfettamente per praticarla quotidianamente nella Top 14, una raffica di infamie al volgere di una mischia aperta, riescono in qualche modo a far uscire i padroni di casa dalla partita e a commettere il crimine, se ne vanno immediatamente questa nobile terra, esausta ma felice.
Un contesto esplosivo
Conosciamo quindi troppo bene il savoir-faire argentino per non temere l'incontro finale di questa parentesi autunnale, se non con la paura nello stomaco, per lo meno tormentati dalla sgradevole impressione che questo XV di Francia si stia decisamente addolcendo troppo il canto delle sirene che scuote il nostro territorio, dopo questa vittoria strappata con la pinza ai neozelandesi superiori nel puro esercizio della professione ma innegabilmente meno affamati dei Tricolores, sabato sera.
E poi, conveniamo che niente ha un buon profumo, in questa partita finale che i Blues hanno avuto cinque giorni per preparare. Basta guardare l'ultima uscita degli argentini all'Aviva Stadium o, per i più zelanti tra noi, al recente Campionato di Rugby, per rendersi conto che, nella tenacia che li ha sempre contraddistinti, questi Puma hanno innestato qualche gioco sentito lanci, il meraviglioso sinistro di un mediano d'apertura che accarezza la palla più che colpirla (Tomas Albornoz) e, soprattutto, una disciplina collettiva che li ha visti finora sempre mancato il rugby dall'alto, come dimostrano i sei modesti rigori fischiati contro di loro la settimana scorsa, a Dublino.
Ci sono tanti motivi, infatti, per considerare questa partita come una dannata trappola, di fronte a questo paese dove si è recentemente giocato il peggior thriller del rugby francese, odioso nanar che i giudici di Mendoza dovrebbero concludere anche questo lunedì liberando Oscar Jegou e Hugo Auradou dalle accuse che gravano su di loro dal 7 luglio. Ne dimentichiamo alcuni, dici? Certamente sì. Perché c'è finalmente, tra Francia e Argentina, questo scomodo, subdolo rumore di fondo che si è instaurato tra i nostri due paesi fin dalla storia dei cori razzisti lanciati dalla banda contro Messi al posto dei calciatori di Deschamps, ritornello infame al quale Il pubblico dello Stade de France ha risposto ampiamente durante le Olimpiadi di Parigi, insultando fino all'overdose i settisti sudamericani. Ecco, il consueto talento che ha il rugby di riconciliare ogni tanto i popoli – è del resto ciò che fece in Irlanda negli anni '80 o in Sud Africa dieci anni dopo – dovrà quindi, ancora una volta, far parlare della vostra stregoneria…
Il gioco… Quale gioco?
Quanto a questa Francia, tanto per sapere se il morso dell'ego sarebbe pronto a rimettere in moto il motore, meno ronzante di prima, della “chemineta de mi papa”**. Rispetto alle ultime due uscite, la selezione francese è quindi consapevole di dover alzare rapidamente i toni e sviluppare al più presto un linguaggio collettivo che la breve preparazione alla pausa autunnale non le ha ancora permesso di affinare. Alla dissolutezza energica, gioiosa, gallica e disordinata, intravista contro gli All Blacks sabato sera, vorremmo quindi che la banda Galthié aggiungesse ora una conquista irreprensibile, lanci di gioco mancanti e prove costruite altro che su “kick and rush”* **, l'arte del bancone o l'unica celerità di Louis Bielle-Biarrey.
Ma soprattutto vorremmo che questo XV francese seppellisse definitivamente, con la terza vittoria consecutiva, un Mondiale incasinato, un Torneo 6 Nazioni tutt'altro che indimenticabile e una tournée estiva sportivamente riuscita, ma moralmente indifendibile. Se a prima vista, questa partita tra latini è quindi molto meno luminosa del kolossal che ha attirato recentemente 8 milioni di telespettatori, se una Francia-Argentina ha, a priori, per tutti noi tanto fascino quanto un lento con la propria sorella, lui tuttavia ha dentro di sé il potere supremo di blindare la stanza 603 dell'Hotel Diplomatico e regolare i conti di un'estate durata troppo a lungo…
* Aspettatevi l'inaspettato
** Il furgone di mio padre
*** Tocca ed esegui
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