Newsletter «L»
Articolo riservato agli abbonati
Un’opera collettiva si riappropria dell’insulto per farne un vessillo d’orgoglio. E rendere visibili le identità lesbiche di oggi.
Questo articolo proviene da L, la newsletter sul femminismo e la sessualità pubblicata il sabato. Ricevere L, registrati qui ! E unisciti al canale WhatsApp di l facendo clic Essere.
In passato la parola queer era un insulto. Veniva utilizzato per designare coloro che non rientravano nella norma; la sua definizione era “bizzarro”, “deviante”. Quando gli anziani insultati se ne impossessarono, lo sistemarono e lo ridipinsero di altri colori. Oggi, liberata dalla sua carica odiosa, la parola queer è una bandiera, un bozzolo.
Allo stesso modo, poiché il linguaggio è ciò che ne facciamo, gli autori di Dighe (edizione Punti “femministi”) puntano sull’inversione dello stigma: “Sì, siamo lesbiche. E allora? Rivendicando il termine, scrivono nella prefazione, gli togliamo la violenza, il peso della vergogna e lo riempiamo di orgoglio”.
Un anno dopo il lavoro collettivo froci, diretto da Florent Manelli, edito dalla stessa casa editrice, le lesbiche dicono la loro. Sotto la guida della giornalista Marie Kirschen, caporedattrice della rivista lesbica
Canada
Related News :