Lunedì i prezzi del petrolio sono aumentati di nuovo, rafforzati dal rinvio dell'aumento della produzione dell'alleanza OPEC+ e dalle minacce delle autorità iraniane contro Israele.
In qualsiasi momento, la situazione in Medio Oriente rischia di far incendiare i prezzi dell’oro nero. Il barile di Brent del Mare del Nord con consegna a gennaio si è apprezzato del 2,71%, chiudendo a 75,08 dollari. Il barile americano di West Texas Intermediate (WTI), con scadenza a dicembre, ha guadagnato il 2,85%, a 71,47 dollari. La varietà americana di riferimento ha registrato così la quarta sessione positiva consecutiva.
Per Andy Lipow, della Lipow Oil Associates, questo nuovo impulso è dovuto principalmente alla decisione di otto membri del gruppo OPEC+ di rinviare di un mese l’aumento della loro produzione. Si tratta del secondo rinvio dopo il primo rinvio da ottobre a dicembre.
L'Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio e la Russia hanno deciso domenica 3 novembre di non aumentare l'offerta come avevano previsto, per contrastare il calo dei prezzi. Il 4 novembre, all'apertura dei mercati, il barile di Brent è cresciuto del 2,5%.
Questi otto paesi, tra cui l’Arabia Saudita, il paese più influente nell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC), e la Russia, partner dell’accordo OPEC+, hanno pianificato di tornare gradualmente a 2,2 milioni di barili di tagli alla produzione. L'avvio di questo processo dovrà quindi avvenire all'inizio di gennaio e non più alla fine di dicembre come finora previsto.
Con l'AFP
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