Bolivia ad alta tensione: soldati tenuti in ostaggio dai sostenitori dell’ex presidente Evo Morales in un contesto di rivolta antigovernativa. Il Paese sull’orlo del caos politico e sociale…
La Bolivia sta attualmente attraversando un periodo di forti turbolenze politiche e sociali. Secondo fonti vicine alla vicenda, una ventina di soldati sono stati presi in ostaggio venerdì da sostenitori dell’ex presidente Evo Morales. L’incidente è avvenuto dopo che questi ultimi hanno sequestrato una caserma situata nella regione del Chapare, vero epicentro della rivolta antigovernativa che sta scuotendo il Paese.
Gruppi armati irregolari all’offensiva
Secondo un comunicato ufficiale delle forze armate boliviane, “gruppi armati irregolari” hanno preso il controllo di una caserma militare, prendendo in ostaggio soldati e sequestrando armi e munizioni. Un video diffuso dalla stampa locale e confermato da una fonte militare mostra sedici soldati circondati da contadini che brandiscono bastoni. Uno dei soldati intrappolati testimonia:
Il reggimento di Cacique Maraza è stato preso da gruppi di Tipnis, ci hanno tagliato l’acqua e l’elettricità, ci hanno preso in ostaggio.
I Tipnis, roccaforte politica di Evo Morales
I Tipnis, territori indigeni del Chapare, costituiscono la base politica più forte di Evo Morales, primo presidente indigeno della Bolivia dal 2006 al 2019. Dal 14 ottobre, i suoi sostenitori hanno bloccato le principali strade del Paese per protestare contro quella che considerano una “persecuzione giudiziaria”. contro il loro leader.
Evo Morales è infatti oggetto di un’indagine per il presunto stupro di una quindicenne quando era alla guida del Paese. Anche se nega i fatti, l’accusa ha ordinato il suo arresto lo scorso settembre prima che arrivasse un ricorso legale per annullare questo mandato.
Una situazione economica esplosiva
Al di là della sorte del loro ex presidente, i manifestanti chiedono oggi le dimissioni dell’attuale capo dello Stato Luis Arce. Lo criticano per la sua incapacità di gestire la grave crisi economica causata dalla carenza di valute estere che colpisce il Paese.
Luis Arce, ex alleato di Evo Morales eletto nel novembre 2020, è ora visto da quest’ultimo come un rivale in vista delle elezioni presidenziali del 2025. Nonostante una sentenza che lo squalifica dal ballottaggio, Evo Morales, 65 anni, conta andiamo bene per un nuovo mandato.
Lo spettro di una conflagrazione diffusa
Di fronte all’irrigidirsi dei movimenti di protesta, il presidente Luis Arce ha chiesto mercoledì “l’immediata revoca di tutti i punti di blocco”, brandendo la minaccia di un intervento delle forze armate per porre fine alle “misure di pressione che strangolano” il paese. Una prospettiva che non sembra spaventare i manifestanti, come Carlos Flores, agronomo di 45 anni:
Se porta l’esercito, siamo pronti a combattere. Continueremo fino alle sue dimissioni.
Dall’inizio della crisi, secondo l’ultimo rapporto ufficiale, gli scontri tra polizia e manifestanti hanno già provocato almeno 70 feriti, tra cui 61 agenti di polizia. Una ventina di punti di blocco restano attivi in tutto il paese, soprattutto nello stato di Cochabamba, roccaforte di Evo Morales, dove i suoi sostenitori, soprattutto contadini indigeni, restano mobilitati in massa.
Questa paralisi ha gravi conseguenze economiche, accentuando la carenza di carburante e provocando un’impennata dei prezzi dei prodotti di base. Il presidente Arce ha stimato mercoledì l’impatto di questi blocchi “a più di 1,7 miliardi di dollari, con conseguenze terribili per le famiglie boliviane”. Un costo umano, sociale ed economico non indifferente per un Paese già duramente colpito e che sembra sprofondare ogni giorno sempre più in una spirale di violenza politica dalle conseguenze potenzialmente devastanti.
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