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Il presidente taiwanese corre il rischio di un discorso deciso contro la Cina

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Il presidente taiwanese Lai Ching-te, durante la Giornata Nazionale, a Taipei, 10 ottobre 2024. ANN WANG/REUTERS

In alcune parti del mondo bastano poche parole per passare dalla pace alla guerra. È il caso dello Stretto di Taiwan, dove i toni adottati dal nuovo presidente dell’isola nei confronti della Cina sono oggetto della massima attenzione. Lai Ching-te, eletto a gennaio e insediatosi a maggio, pur soppesando le sue parole, ritiene che sia necessario dire le cose come stanno, col rischio di contribuire ad aumentare la tensione con Pechino. “La Repubblica Cinese che ha messo radici a Taiwan (…) e la Repubblica popolare cinese non sono in alcun modo subordinati l’uno all’altra.ha dichiarato il presidente taiwanese nel suo primo discorso per la Giornata Nazionale, giovedì 10 ottobre, promettendo di mantenere lo status quo ma anche di resistere “annessione o violazione della nostra sovranità”. “La Cina non ha il diritto di rappresentare Taiwan”ha detto.

La data segna l’inizio della ribellione che nel 1911 pose fine alla Cina imperiale, simboleggiando la complessità storica che caratterizza la questione dell’isola di Taiwan. L’ex padrone della Cina repubblicana, Chiang Kai-shek, sconfitto nel continente dai soldati comunisti di Mao Zedong, vi si ritirò nel 1949, dando vita ad una sorta di continuità del suo regime sull’isola e pretendendo di ritornarvi un giorno, come è illustrato dal nome ufficiale “Repubblica Cinese” che, oggi, persiste senza corrispondere alla realtà geografica dell’isola.

La formazione del generalissimo, il Partito nazionalista o Kouomintang (KMT), ha regnato con il terrore sull’isola per quattro decenni prima di accettare il gioco democratico. Pechino e Taipei sotto il governo del KMT si accordarono, all’inizio degli anni ’90, su una sorta di tacita dichiarazione secondo la quale ci sarebbe stata una sola Cina, ciascuna delle quali sarebbe stata poi libera di dare la propria interpretazione. Una formula che, per il Partito comunista cinese, ha il merito di sottolineare la propria visione secondo cui l’isola è cinese e quindi ha la vocazione ad esserne un giorno attaccata politicamente.

Un’identità politica pulita

Ma, per il partito al potere da otto anni, il Partito Democratico Progressista (DPP), frutto della lotta per la democrazia e le libertà che ha messo radici a Taiwan, dove nel corso dei decenni ha forgiato una propria identità politica, questo è il cosiddetto Il principio cinese è una sciocchezza, una negazione della realtà. Presidente dal 2016 al 2024, Tsai Ing-wen ha cercato di sfuggire a questo discorso, affermando regolarmente la realtà della sovranità dell’isola, che ha il suo sistema politico, la sua moneta, il suo esercito, i suoi passaporti e tutti gli attributi di uno Stato se non il riconoscimento internazionale.

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