“Il sistema politico è rotto. Entrambi i partiti sono per volere di Wall Street. Oggi più del 60% di noi sostiene che l’establishment bipartisan ci ha deluso e che abbiamo bisogno di un partito al servizio del popolo. Mi chiamo Jill Stein e mi candido alla presidenza per offrire ai cittadini questa scelta.”, dice la candidata del Partito Verde in un video sul sito web della sua campagna. Poche persone fuori dagli Stati Uniti hanno mai sentito parlare di lei. E, anche all’interno del Paese, è probabile che molti non sappiano che il 5 novembre Kamala Harris e Donald Trump non sarà l’unico contendente alla Casa Bianca.
Tuttavia, ci sono molti che cercano di esistere tra i due colossi democratici e repubblicano. E i loro punteggi potrebbero essere decisivi in un’elezione che si svolgerà ai margini, dove ogni voto sarà accaparrato I candidati “piccoli” avranno un voto in meno rispetto ai due favoriti. Il più noto, Robert F. Kennedy Jr, che gareggiava con i suoi stessi colori, ha deciso alla fine di agosto di sostenere Donald Trump. Un sollievo per l’ex presidente, che non ha potuto però impedire la candidatura di un altro outsider, Chase Oliver, 39 anni, sotto la bandiera del Libertarian Party, formazione tra le meglio affermate nel Paese e di cui il miliardario puntava i consensi .
Ma è senza dubbio Kamala Harris ad avere il successo più da perdere a causa della dispersione dei voti. Suo La candidatura, in sostituzione di quella di Joe Biden, non ha dissuaso diversi contendenti dal candidarsi. A cominciare da Jill Stein, 74 anni, che si rilancia dopo due precedenti tentativi, nel 2012 e nel 2016. Otto anni fa, l’ambientalista aveva raccolto 1,4 milioni di voti, pari all’1,1% dei voti. All’epoca, fu accusata di aver dato un impulso significativo – addirittura decisivo – a Donald Trump attirando gli elettori progressisti lontano dall’ex segretario di Stato Hillary Clinton in Pennsylvania, Michigan e negli Stati Uniti. Wisconsin, tre stati chiave.
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Tanto vale dirlo subito: nessuno ce l’ha minori possibilità di vincita. Negli Stati Uniti, le elezioni presidenziali, basate sul suffragio universale indiretto a turno unico, sono un processo complesso. Il presidente non è eletto direttamente dagli americani ma da… cinquanta stati del Paese attraverso un collegio di 538 elettori incaricato di rappresentarli. L’obiettivo è ottenere 270 voti per vincere la scommessa.
“Questi piccoli candidati provengono da organizzazioni che a volte esistono da molto tempo ma che non sempre dispongono di una struttura, a livello statale, che consenta loro di competere con i due partiti principali”, sottolinea Tammy Greer, assistente professore di politiche pubbliche presso l’Università della Georgia. Questo ciò che complica il compito di questi candidati per riuscire in un primo ma essenziale passo, è riuscire a vedere il proprio cognome scritto sulle schede elettorali di ciascuno dei Stati. Un’operazione ardua, costosa e burocratico, sapendo che i requisiti sono diversi l’uno dall’altro. I nomi di I contendenti alla presidenza variano quindi da un territorio all’altro.
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