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per l’ex ambasciatore israeliano Élie Barnavi, “la guerra a Gaza deve finire”

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Intervistato questa domenica, 6 ottobre su BFMTV, lo storico ed ex ambasciatore francese in Israele ha dichiarato che è “giusto il momento di fermare i costi” nel territorio palestinese.

Per Élie Barnavi “la guerra a Gaza deve finire” e “avrebbe dovuto finire già da mesi”. Un anno dopo l’attacco terroristico di Hamas e l’inizio della guerra guidata da Israele nei territori palestinesi, l’ex ambasciatore dello Stato ebraico in Francia ha stimato domenica 6 ottobre su BFMTV che “ciò che sta accadendo a Gaza è uno scandalo politico assoluto .

“Non abbiamo più niente da fare lì”, ha aggiunto l’ex diplomatico e storico. “Siamo ancora lì, ovviamente Hamas è ancora lì, e stiamo perdendo questa guerra per la buona ragione che nessuno degli obiettivi di guerra che ci eravamo prefissati è stato raggiunto”, in particolare il rilascio degli ostaggi ancora detenuti a Gaza da Hamas. Poco dopo questa intervista, il capo di stato maggiore dell’IDF da parte sua ha affermato che l’ala militare del gruppo terroristico è stata “sconfitta”.

“È giunto il momento di fermare i costi, se non altro per liberare questi sfortunati ostaggi e anche per dirigere gli sforzi dove è veramente necessario dirigerli ora, e cioè Hezbollah” in Libano, ha detto Élie Barnavi.

La polemica con Macron, “sputa Netanyahu”

L’ex ambasciatore è tornato anche sulle tensioni tra Emmanuel Macron e Benjamin Netanyahu all’indomani dell’appello del presidente della Repubblica a fermare la consegna a Israele delle armi usate a Gaza. “Si vergognino”, ha reagito il primo ministro israeliano, che ha poi parlato “in tutta franchezza” con il presidente francese, secondo un comunicato stampa dell’Eliseo.

“La polemica con Macron è di Netanyahu annata“, ha riassunto Élie Barnavi. “È il suo modo di fare le cose, (…) è come Netanyahu.”

“Quello che mi colpisce sempre è quanto i leader occidentali, Macron, Biden e tutti gli altri, non abbiano ancora capito come lavora quest’uomo”, ha osservato. “Immagino ancora di poter intraprendere con lui una diplomazia cortese. Dobbiamo parlargli un linguaggio diverso, dobbiamo confrontarlo con le sue responsabilità e soprattutto dobbiamo agire”.

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