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La mia vita, la mia faccia, I barbari, I semi del fico selvatico… Film da vedere questa settimana

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Un cinquantenne che si sente vecchio, una commedia tagliente sull’arrivo di una famiglia siriana in un villaggio molto francese, una famiglia iraniana confrontata con il movimento Donne, Vita, Libertà… La selezione cinematografica di Figaro.

La mia vita, il mio viso – Avere

Commedia drammatica di Sophie Fillières, 1h39

Che numero! È, diciamo, speciale. Questa Barberie Bichette (Agnès Jaoui) ha delle stranezze. Parla da sola, colleziona rotoli di carta igienica, scrive poesie su lavagne di PowerPoint, si fa il dito medio davanti allo specchio. Ha già cinquantacinque anni, accidenti! Non ci può credere. Come ha fatto a mandare tutto a rotoli in questo modo? La chiamano Barbie. È delusa dal suo aspetto. Si sente vecchia, inutile, fuori dal mondo. La depressione non è lontana. Lascia il lavoro, si chiede quante docce le restano prima di morire. Chiama tutti Fanfan. Il suo psichiatra la ascolta con infinita pazienza, senza dire una parola. I suoi figli la sostengono, da lontano. È vero che è un po’ estenuante. La depressione è una comoda scusa. Agnès Jaoui ha il dono di rendere fraterna questa donna che avrebbe potuto essere insopportabile, con i suoi sbalzi d’umore, le sue reazioni inaspettate. Eccola, ricoverata in ospedale. Trattamento di riposo. Questo soggiorno la stende. La sua solitudine occupa tutto lo spazio. Questa dolce follia ha un fascino folle. La porterà nelle profondità della Scozia dove la attendono ancora delle sorprese, nel mezzo della brughiera. Nessuno era più adatto di Sophie Fillières a raccontare questa storia di personaggi. Ne conosceva l’angoscia e la poesia. La regista è scomparsa il 31 luglio 2023. Il suo film assomiglia a un grido di aiuto, a una lettera di addio, a un testamento sorridente. Ovunque tu sia, Signora, ti amiamo per questo piccolo sassolino che hai lasciato. IN.

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Semi del fico selvatico – Avere

Dramma di Mohammad Rasoulof, 2h46

Questa è la storia di una famiglia iraniana, lacerata e straziante. La storia di un padre, promosso giudice istruttore, e delle sue due figlie il cui destino incrocia quello del movimento Donne, Vita, Libertà, dopo l’arresto, poi la morte, di Mahsa Amini, per un velo inadatto. Da allora in poi, come possono conciliarsi sotto lo stesso tetto due visioni opposte? Come si può cantare la libertà quando il padre contribuisce a soffocarla? Iman, in abito nero e camicia senza colletto, la vede solo attraverso le sue nuove funzioni, frutto della sua lealtà alla Repubblica islamica. Le sue responsabilità all’interno del tribunale rivoluzionario di Teheran sono pesanti da sopportare: deve pronunciare le sentenze, a volte le esecuzioni capitali, degli stessi dimostranti a cui le due adolescenti ribelli sognano di unirsi. Diviso tra la sua lealtà al regime e la sua quota di umanità, Iman sceglie comunque armi e tiranni. Ma è ben lontano dall’immaginare che le sue figlie, Rezvan e Sana, a cui proibisce di uscire per protestare, potrebbero disobbedirgli e tradirlo. L’arbitro indifeso di questi conflitti familiari, Najmeh, la madre, interpretata dalla brillante attrice Soheila Golestani, ha un ruolo centrale: è l’incarnazione di un sistema che sta crollando e collassando dall’interno. È l’immagine di coloro che, per ideologia o comodità, negano la realtà. Finché questa stessa realtà non arriva a casa, come qui con l’arrivo di un’amica adolescente uccisa durante le manifestazioni e che deve essere salvata a tutti i costi, all’insaputa del marito. Un lungometraggio commovente ed esplosivo di incredibile forza e forma, dove finzione e documentario si sovrappongono meravigliosamente per trasformarsi gradualmente in un thriller mozzafiato che ci consente di vedere e sentire il fuoco che arde in ogni donna iraniana. Messaggio diretto

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I barbari – Avere

Commedia di Julie Delpy, 1h41

Niente da fare, la trama del nuovo film di Julie Delpy I barbari ricorda i racconti buffi di René Goscinny. Giudicate voi stessi: siamo nel 2024. A Paimpont (Ille-et-Vilaine), gli abitanti del villaggio resistono ancora al vento cattivo di una modernità invadente e di una correttezza politica nell’aria dei tempi. Tutti? No, Joëlle, la maestra sovreccitata, disposta a dare lezioni (Julie Delpy, orribile quanto si vuole), si imbarca in una nuova crociata. Mentre la guerra in Ucraina ha commosso la Francia, al consiglio comunale, la maestra fa votare l’accoglienza di una famiglia ucraina. Il sindaco (Jean-Charles Clichet), un po’ opportunista, ci vede un modo per ristabilire la sua salute elettorale. Perfino Hervé, l’idraulico alsaziano dal soffitto basso, ma più bretone dei bretoni (Laurent Lafitte, molto divertente), si è lasciato convincere. Ma in un colpo di scena burlesco degno dello sceneggiatore di Asterix, la famiglia ucraina si trasforma in una famiglia siriana. Quando arrivano i Fayad, il loro entusiasmo cala seriamente. Un cartello è dipinto sulla loro porta: “Fuori i barbari!”. Inizia bene. I nostri rifugiati della borghesia siriana si sistemano come meglio possono. Il padre (Ziad Bakri) è un architetto. Sua moglie (Dalia Naous), una graphic designer. Sua sorella, veterana di guerra, è un medico. La famiglia è particolarmente sollevata di essere sfuggita all’inferno dello Stato islamico. Julie Delpy ha uno spirito ribelle. La regista ha barattato il romanticismo sofisticato con la commedia satirica. Prende allegramente in giro il razzismo ordinario. E l’espressione “vivere insieme” prende una batosta. DI

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Via del Conservatorio – Avere

Documentario di Valérie Donzelli, 1h20

Molti sono passati per il Conservatorio. Da Jean Rochefort, a Jean-Pierre Marielle, passando per Bruno Cremer, Claude Rich, Pierre Vernier o Jean-Paul Belmondo. Sono stati tutti formati in una buona scuola. Ancora oggi, il “Cons”, come viene soprannominato, prepara le attrici e gli attori di domani. Il documentario Via del Conservatorio di Valérie Donzelli si addentra deliziosamente nel cuore di questa prestigiosa istituzione che ne ha viste altre. Tutto inizia con una richiesta specifica. Il direttore di La guerra è dichiarata è venuta a tenere una “masterclass” di recitazione. Con gli studenti, immagina un film in un gesto e incontra in questa occasione la giovane Clémence Coullon. Quest’ultima la ricontatta poco dopo per offrirle di seguire il suo lavoro di fine anno, svolto con un gruppo del suo anno. Clémence mette in scena uno spettacolo, il Frazione Shakespeare, che rivisita a modo suo. Donzelli si fa piccola, si investe senza contare. Con una piccola troupe, punta la sua macchina da presa sui volti futuri del teatro e del cinema francese. Il film diventa una specie di diario personale. Le prove si susseguono una dopo l’altra. “Mi alzo Amleto, cammino Amleto, penso Amleto. Dormo Amleto. Tutto è Amleto.” dice. La regista si concentra sul filmare la passione e l’entusiasmo di questi vivaci apprendisti attori. Un insegnante di scherma non capisce perché Clémence uccida il personaggio di Amleto a metà dello spettacolo per sostituirlo con una donna. La giovane regista non si offende e continua le sue istruzioni: “Ophelia uccide Amleto con una pistola. La pistola è sul muro. Lei scivola. La pistola cade. Parte il colpo. Amleto muore. Funziona, giusto?Il vecchio cavallo di battaglia risponde con un sorriso: “Allora è Gaston Lagaffe?“Questo spettacolo dal vivo subirà mille e una svolta. Valérie Donzelli, da parte sua, lascia il suo appartamento e inizia una nuova vita dopo una rottura sentimentale. Le due traiettorie sono messe discretamente in parallelo. “I nostri destini si incrociano. Concludiamo qualcosa per un futuro incerto.“Gli studenti del CNSAD lavorano sodo. Il film li mostra mentre dubitano, sbattono contro le cose, cadono e si rialzano. La telecamera cattura la loro giovinezza, il loro fuoco, la loro libertà, la loro passione e le loro speranze. Lo spirito di squadra è lì, che batte selvaggiamente. È così bello. DI

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