Un tempo l’Economist lo aveva indicato come “un esempio per il mondo”, ora il premier Trudeau non sembra contemplare “domande etiche e morali”: sono state tutte filtrate dal lavaggio del cervello nel lavatoio ideologico che domina in occidente
Il settimanale inglese Economist lo aveva messo in copertina, indicandolo come “un esempio per il mondo”. La libertà si era spostata a nord, nelle fredde province canadesi, riscaldate dalla rivoluzione woke del figlio del premier che negli anni Sessanta fece la “rivoluzione tranquilla”. “Ora qualcosa sta bruciando nel Canada di Justin Trudeau”, titola il Wall Street Journal. Parlando con il New York Times dieci anni fa, Trudeau si era lasciato andare all’entusiasmo: “In Canada ci sono valori condivisi (apertura, rispetto, compassione, esserci l’uno per l’altro), ma non c’è un’identità, non c’è un mainstream”. Così il paese si è trasformato nelle cascate del Niagara della postmodernità. “Quando Trudeau è stato eletto sosteneva una visione moderna per il suo paese: multiculturale, attento al clima e desideroso di comportarsi in modo responsabile in un mondo instabile”, scrive l’Economist di questa settimana, cambiando giudizio sul Canada. “L’anno scorso la popolazione canadese è cresciuta al ritmo più rapido dal 1957; è aumentata del 16 per cento da quando Trudeau è entrato in carica, a causa dell’arrivo di persone dall’estero. Trudeau pensava che aprire di più le porte rendesse il Canada virtuoso”. Si sbagliava e ora quella ideologia è arrivata al capolinea. “Per non dimenticare i nostri eroi”, e papaveri rossi sopra una foto dell’architetto del 7 ottobre, Yahya Sinwar. Una veglia per il leader di Hamas. Non a Teheran, ma a Mississauga, Ontario, dove il sindaco Carolyn Parrish ha paragonato Sinwar a Mandela. L’organizzatore dell’evento si chiama “Canadian Defenders 4 Human Rights”. Succede in questo strano paese dove si celebra l’Hijab Solidarity Day, ma dove avere un giorno libero dal lavoro per Natale e Pasqua è diventata la prova della storia “colonialista” del paese.
Ora un terzo di tutti i medici ebrei dell’Ontario sta pensando di fare le valigie. “Dallo scorso 7 ottobre, si sono verificate diverse sparatorie nelle scuole ebraiche di Montreal e Toronto”, scrive Terry Glavin in una lunga inchiesta per la Free Press di Bari Weiss. “Una minaccia di bombe coordinate ha preso di mira più di cento istituzioni ebraiche, da Halifax a Victoria. Sinagoghe nella British Columbia e nel Quebec sono state incendiate. Una sinagoga a Toronto, Kehillat Shaarei Torah, è stata vandalizzata per sette volte da aprile: porte e finestre sfondate. L’attacco più recente è avvenuto la scorsa settimana. Le attività commerciali ebraiche in tutto il paese vengono colpite. Gli ebrei sono assediati da ‘manifestanti filopalestinesi’ nei loro quartieri. I genitori ebrei temono a mandare i loro figli all’asilo. Gli studenti universitari ebrei da un capo all’altro del paese riferiscono di aver paura di frequentare le lezioni”. E così il paese di Leonard Cohen e Saul Bellow, uno dei più pacifici e sicuri del mondo fino a pochi anni fa, registra più attacchi agli ebrei di quanti ne avvengano in Belgio, Francia, Olanda, Svezia e Inghilterra.
Il filosofo del Quebec Mathieu Bock-Côtéstar dei media francesi e autore del libro “L’empire du politiquement correct”, scrive: “Trudeau presentava il Canada come il simbolo mondiale del politicamente corretto. Mentre Stephen Harper tendeva a collocare il Canada in quella che viene chiamata ‘Anglosfera’, Trudeau lo iscrive nella civiltà globalizzata e ne è orgoglioso. Il Canada è un laboratorio ideologico dove testare l’onda d’urto multiculturale”. E affinché una nazione possa veramente essere woke e multiculturale, deve avere una narrativa di “oppressione”. In America, gli attivisti guardano alla schiavitù. In Gran Bretagna, al colonialismo. In Canada è il “genocidio contro la popolazione indigena”. Così è nata la mega fake sulle fosse comuni di bambini sotto le scuole residenziali cattoliche. Nel maggio 2021, i leader della British Columbia First Nation hanno annunciato la scoperta di “anomalie” nel terreno. Tanto bastava per fare notizia a livello planetario. Ian Austen del New York Times ha scritto numerose storie sulle “tombe senza nome” in Canada. A settembre, Austen ha ammesso che nessun resto umano è mai stato trovato.
Pochi giorni dopo l’annuncio di una prima “scoperta”, Trudeau ha decretato che tutte le bandiere sugli edifici federali sarebbe sventolate a mezz’asta. Il governo e le autorità provinciali hanno promesso 320 milioni di dollari per ulteriori ricerche e 40 miliardi di dollari in risarcimenti. Le “scuole residenziali” sono un capitolo tragico della storia canadese. Nel 1880 il governo arruolò varie organizzazioni per creare questi collegi per giovani indigeni e inserirli nella società. Più della metà di queste scuole erano gestite dalla Chiesa. Con la tubercolosi e l’influenza spagnola dilaganti, diverse migliaia di bambini indigeni morirono nelle scuole. “Genocidio”? “Fosse comuni”? In compenso, per “ritorsione”, in Canada cento chiese sono state bruciate da attivisti e militanti senza che i media ne parlassero.
“Immaginate se, dopo l’11 settembre, negli Stati Uniti, o dopo gli attacchi islamisti degli ultimi anni in Francia, cittadini ‘arrabbiati’ decidessero di attaccare le moschee, di vandalizzarle, di bruciarle”, scrive ancora Bock-Coté. “Saremmo stati tutti indignati da tali gesti. Li avremmo condannati senza riserve. Avremmo ricordato che tali atti sono criminali, oltre a richiedere una punizione severa per i loro autori. Come, allora, spiegare la reazione attuale?”. O meglio, la mancanza di reazione. Anche una chiesa copta è stata rasa al suolo, non in Egitto, ma in Canada, diventato “il centro dei roghi delle chiese del mondo occidentale”. Gerald Butts, ex braccio destro del premier Trudeau, ha scritto che bruciare le chiese è “comprensibile”. La direttrice dell’organizzazione dei diritti civili BC Civil Liberties Association, Harsha Walia, ha twittato: “Bruciatele tutte!”. “Come ha fatto un paese famoso per i suoi costumi ragionevoli e moderati a trasformarsi nella prima fila della falange woke?”, si chiede lo psicologo canadese Jordan Peterson in un lungo saggio sul Telegraph. “Era il 2015, quando il futuro primo ministro disse: ‘Non esiste identità’. Raramente avevamo sentito uno slogan così creativo, così progressista, così umano, così compassionevole. Eravamo diventati un posto vacante, privo di storia, un nulla in attesa di essere riempito”. Il Canada non sembra altro che la fotografia a grandezza naturale di come sarà tutto l’occidente se prevarrà un furioso estremismo woke. Intanto nei prossimi anni verranno chiuse un terzo di tutte le chiese. Entro il 2040, la Chiesa anglicana in Canada sarà estinta. Poi toccherà alla Chiesa cattolica.
Mentre il cristianesimo declina in tutto il Canada e l’ossessione liberale per l’“autonomia corporea” e la “libertà personale” raggiungeva la sua logica conclusione, si stava formando una nuova distopia. “Lo stato canadese sta praticando l’eutanasia sui poveri e sui disabili”, titola persino la rivista di estrema sinistra Jacobin. “Il Canada vanta uno dei tassi di morte assistita più alti al mondo, consentendo ai malati terminali di morire con dignità. Tuttavia, questo programma di suicidio assomiglia sempre più a una sostituzione distopica dei servizi di assistenza, che scambia l’assistenza sociale con l’eutanasia”. “In alcune parti del Canada è più facile accedere all’eutanasia che ottenere una sedia a rotelle”. A dirlo è il ministro canadese per l’Inclusione, Carla Qualtrough, citata in una ricerca dell’Università di Cambridge. Due anni fa persino tre esperti dei diritti umani delle Nazioni Unite hanno riferito che la legge canadese viola la Dichiarazione universale dei diritti umani. “I futuri canadesi dovranno scusarsi per l’eutanasia ai disabili?”. L’editoriale è stato pubblicato dal Washington Post, giornale non certo avvezzo alle guerre culturali conservatrici.
Kiano Vafaeian, ventitreenne depresso e disoccupato, con il diabete e che ha perso la vista da un occhio, ha visto la sua eutanasia approvata e programmata per il 22 settembre 2022. Il medico che doveva eseguire la “procedura” ha inviato a Vafaeian istruzioni chiare: “Per favore, arrivi alle 8.30. Inizierò la procedura alle 9.00. Sarà completata pochi minuti dopo l’inizio”. Vafaeian avrebbe potuto portare con sé un cane, “a patto che qualcuno sia presente per prendersene cura”. Il risultato è che, ad appena sei anni dalla legge, un canadese su venti se ne va con l’eutanasia, un record mondiale (in Quebec è anche peggio, uno su quattordici). E da tre anni non è più necessario che si sia allo stadio terminale. “Cosa succede se una società rimane liberal ma cessa di essere civilizzata?”, si domanda ora Ross Douthat sul New York Times parlando del Canada. “L’ordine liberal diventa un tramonto distopico”. Dei diecimila canadesi che hanno ricevuto l’eutanasia in un anno, il venti per cento soffriva di “solitudine”. Sean Tagert, un quarantenne affetto da sla, ha scelto l’eutanasia perché non riusciva a tenere il passo con i costi elevati per permettergli di continuare a vivere a casa con delle badanti, ha rivelato l’Associated Press.
Sambra un racconto di Kurt Vonnegut, ma è cronaca dal principale quotidiano canadese, il Globe and Mail. Una donna di Vancouver è andata in ospedale in cerca di aiuto per pensieri suicidi. Kathrin Mentler, 37 anni, convive con depressione cronica e tendenze suicide, aggravate da un evento traumatico. Sentendosi particolarmente vulnerabile, Kathrin è andata al Vancouver General Hospital in cerca di aiuto per affrontare i sentimenti di disperazione che temeva di non riuscire a scrollarsi di dosso. A Mentler il medico le ha detto che ci sarebbero state lunghe attese per vedere uno psichiatra e che il sistema sanitario è “rotto”. Questa è stata seguita da una domanda stridente: “Ha considerato MAID?”. Si tratta della sigla con cui nel ridente Canada si chiama l’eutanasia. “Quel giorno ci sono andata perché non volevo trovarmi in una situazione in cui avrei pensato di prendere un’overdose di farmaci”, ha detto Mentler. “Più ci penso, più mi convinco che sollevi sempre più domande etiche e morali”.
Barack Obama ancora aveva qualche legame con il realismo della vita. Trudeau no. Lui non sembra contemplare “domande etiche e morali”. Sono state tutte filtrate dal lavaggio del cervello nel lavatoio ideologico che domina in occidente. Nella raccolta di saggi per la Nave di Teseo dal titolo “Interventi”, Michel Houellebecq pubblica una pagina che sembra cronaca canadese: “La morte di Dio è stata il preludio di una formidabile telenovela metafisica che continua ancora oggi e mira a vaporizzare il soggetto per trasformarlo in un obbediente fantasma del divenire”. La domanda ora è se l’ex colonia britannica resterà la provincia estrema della decadenza woke o se l’occidente tutto diventerà questo fantasma canadese. A giudicare da come il politicamente corretto irriso vent’anni fa da Barney Panofsky è dilagato in quasi tutti i paesi e che in soli dieci anni ha conquistato un paese come il Canada, è più probabile la seconda.