La “melonizzazione” è esportabile nella RN francese?

La “melonizzazione” è esportabile nella RN francese?
La “melonizzazione” è esportabile nella RN francese?
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Il neologismo appare sempre più spesso sulla bocca degli editorialisti che analizzano l’ascesa al potere di un Raggruppamento Nazionale diventato la principale forza politica del paese. Potrebbe questo partito, il suo leader Marine Le Pen e Jordan Bardella, atteso come possibile Primo Ministro, “melonizzarsi” andando al potere? Alcuni lo sperano, ma molti difficilmente ci credono, sia a causa delle differenze istituzionali tra i due paesi, sia per i percorsi divergenti di questi due leader europei di estrema destra nonostante i loro punti in comune.

L’ex ragazzo della Garbatella, quartiere rosso di Roma, diventato con aria di sfida attivista neofascista all’età di 15 anni, non ha mai veramente apprezzato l’ereditiera Le Pen che ha fatto carriera politica seguendo le orme del padre. Anche dal punto di vista politico il divario era e rimane profondo. Lo dimostra anche la tiepidezza del telegramma di congratulazioni del leader italiano che ha sempre considerato il leader della RN troppo identitario, euroscettico e filorusso.

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La politica molto ambigua di Giorgia Meloni

“Melonizzazione”, secondo la narrativa portata avanti dai Giorgia Thurifers, è la storia del leader di un partito di estrema destra che affonda le sue radici nel fascismo che, una volta al potere, si trasforma grazie al pragmatismo in un convinto capo di governo europeista e atlantista , unanime tra i suoi coetanei. La sua consacrazione è stata il vertice del G7, vicino a Bari, in Puglia, dove con circa il 29% dei voti ottenuti alle elezioni europee del 9 giugno, ha guardato con disprezzo un Emmanuel Macron schiacciato alle urne.

Tutti i leader presenti delle democrazie più potenti del pianeta si trovano in una pessima posizione politica in patria, compresi Joe Biden, Rishi Sunak e Olaf Scholz. Giorgia Meloni è ormai per definizione una delle protagoniste dell’Unione Europea. In realtà la politica di Giorgia Meloni è molto ambigua e la sua trasfigurazione evidentemente meno evidente di quanto si immagini fuori dalla penisola.

Una politica conservatrice sociale molto dura

Come il dio romano Giano, l’affascinante leader di Fratelli d’Italia ha una doppia faccia. C’era l’attivista populista che difendeva il progetto europeo e il lassismo di Bruxelles, soprattutto per quanto riguarda l’immigrazione. Dopo la sua vittoria alle elezioni legislative dello scorso anno, la donna che insiste per essere chiamata “Madame Presidente del Consiglio” è alla guida di una coalizione che va dal centro all’estrema destra e che rispetta scrupolosamente gli impegni europei dell’Italia, soprattutto sul terreno economico. Sostiene l’Ucraina attaccata dalla Russia e sembra essere una brava studentessa della NATO. Ciò piace sia a Bruxelles che a Washington, dove mantiene i migliori rapporti con Joe Biden e Donald Trump.

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Ciò non gli impedisce di perseguire internamente una politica sociale conservatrice molto dura con il controllo di tutte le istituzioni culturali del paese per porre fine a più di 80 anni di egemonia intellettuale della sinistra. Si tenta inoltre di imporre un’ambiziosa riforma istituzionale al fine di rafforzare i poteri dell’esecutivo con l’elezione diretta a suffragio universale del Primo Ministro. In origine voleva addirittura ispirarsi direttamente al modello francese della Ve repubblica che da sempre affascina l’estrema destra neofascista transalpina, a cominciare dal suo storico leader Giorgio Almirante.

Evita un nuovo uomo forte e il potere assoluto

La “melonizzazione” potrebbe sembrare solo l’ennesimo avatar del “trasformismo”, una vecchia costante della politica italiana, dalla caduta del fascismo ma già all’inizio del XX secolo.e secolo, in cui un partito, anche se si oppone radicalmente al sistema, finisce sempre per adattarsi allo stampo una volta insediato. “Il potere logora solo chi non ce l’ha” piaceva ricordare Giulio Andreotti, il grande barone della democrazia cristiana che regnò oltre mezzo secolo di vita politica italiana prima di essere travolto dalle inchieste” mani pulite » (mani pulite) dai primi anni ’90.

Il sistema proporzionale e il voto di lista in vigore dalla Liberazione, anche se sono stati integrati attraverso varie riforme da premi di maggioranza, sono stati pensati espressamente per evitare che un nuovo uomo forte e qualsiasi potere assoluto di un partito al potere rendano essenziale la formazione di coalizioni . Ma se i governi raramente duravano più di un anno, il più delle volte rinascevano con gli stessi partiti e gli stessi uomini. È un sistema che digerisce tutto e ti costringe a comporre.

Storie profondamente diverse

Grazie al suo sistema istituzionale e al voto a maggioranza per collegi elettorali che amplifica i movimenti dell’elettorato, la Francia potrebbe essere il primo paese in Europa in cui un’estrema destra populista potrebbe governare da sola.

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Anche le due donne politiche di estrema destra, la francese e l’italiana, fanno parte di storie molto diverse. C’erano certamente legami di lunga data tra i due movimenti di estrema destra. La fiamma tricolore emblema del MSI (Movimento Sociale Italiano) destinato a rievocare la permanenza della memoria di Mussolini è stato ripreso dal FN fin dalla sua creazione. Ma a differenza dell’estrema destra francese composta da ex collaboratori, Waffen SS o ex OAS, la sua controparte transalpina, sebbene infiltrata da attentatori e cospiratori neonazisti, affermava di far parte dell’eredità statalista del fascismo.

Ben prima che il FN iniziasse la sua demonizzazione, Giorgio Almirante aveva deciso di normalizzare il partito e trasformarlo in una forza nazionale di destra, nominando a succedergli il trentenne Gianfranco Fini che con il nuovo partito postfascista aderì all’Alleanza Nazionale. nel 1994 la prima coalizione di governo di Silvio Berlusconi. Così, pochi anni dopo, Giorgia Meloni divenne, sempre nel governo Berlusconi, uno dei ministri più giovani della storia italiana. Poi è stata vicepresidente della Camera.

Quali alti funzionari pubblici o tecnocrati?

La macchina statale, la “Giorgia” come la chiamano gli italiani, lo sa quindi dall’interno, cosa che non è il caso della Le Pen e degli altri alti dirigenti della Rn. Ma lei è una delle poche in questo caso all’interno di un partito in cui è evidente la mancanza di dirigenti preparati. La sua stretta guardia a Palazzo Chigi, il Matignon italiano, è composta da membri della sua famiglia ed ex compagni di attivismo.

Per il resto, è riuscita a recuperare molti alti funzionari e tecnocrati del governo di coalizione del suo predecessore Mario Draghi, ex grande finanziere alla guida della Banca Centrale Europea che è diventato il suo mentore soprattutto per la gestione dell’economia e al primo posto per il controllo di un debito pubblico che raggiunge il 144% del Pil. Sul lavoro mostra opinioni molto liberali: “non disturbare chi vuole fare, non disturbare chi crea ricchezza, non disturbare chi produce lavoro”. Oltre a rafforzare le misure e gli accordi per combattere l’immigrazione clandestina, ha anche concesso più di 450.000 visti di lavoro legali per soddisfare le esigenze degli imprenditori.

Un pragmatismo che può deludere alcuni dei suoi elettori

Questo pragmatismo rischia di deludere alcuni elettori e in particolare lo zoccolo duro del suo partito. Da qui la sua politica culturale tanto conservatrice quanto controversa. “La parola antifascismo non c’è nella Costituzione”, proclama volentieri presidente del Senato e collezionista confesso di busti di Mussolini Ignazio La Russa, uno dei tenori del suo partito bombardato. La Rai, la televisione pubblica, ha così censurato all’ultimo momento l’intervento che lo scrittore Antonio Scurati, autore di un racconto magistrale sulla vita del Duce, avrebbe dovuto fare per il 25 aprile, festa della Liberazione.

La “melonizzazione” non è un’ideologia ma soprattutto un’arte di esecuzione. Si tratta di un equilibrio reso possibile dalle specificità di un sistema che spesso ha fatto dell’Italia per un secolo un fertilissimo laboratorio politico. Giorgia Meloni non nasconde la sua ambizione di agire anche a livello europeo abbattendo i confini storici tra i diritti e riunendo tutte le loro componenti. Non vi è alcuna garanzia che la “melonizzazione” sia un prodotto esportabile oltralpe.

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