PPer i difensori del clima e dei diritti umani, la COP29 che si terrà a Baku (11-13 novembre) pone un doppio dilemma. L’Azerbaigian, infatti, non è solo uno storico bastione della produzione di petrolio e gas, ma è anche sotto il controllo di un’autocrazia per la quale non è bene essere un avversario politico.
COP29 sul clima: soldi, sempre soldi
La COP29 inizierà lunedì 11 novembre a Baku, capitale di un paese petrolifero e del gas, l'Azerbaigian. Già difficile, il dialogo Nord-Sud che costituisce la portata principale del menu sarà interrotto dall’elezione di Donald Trump, un negazionista del clima che vuole demolire il multilateralismo
Non possiamo sognare, ovviamente, di tenere tutti gli incontri internazionali in un cantone svizzero o in una democrazia scandinava, e a mille miglia da una miniera di carbone o da una torre di trivellazione. Ma il fatto che, per la seconda volta consecutiva dopo Dubai 2023, un vertice sul clima si tenga in un paese che simboleggia la dipendenza dai combustibili fossili è una macchia. Soprattutto quando l’ospite reprime gli attivisti per la giustizia climatica con uguale ferocia.
Il caso è tanto più fastidioso in quanto l’Azerbaigian ha giurato di aprire la COP29 avendo fatto la pace con la vicina Armenia. Ma a un anno dalla partenza forzata di 120mila armeni dal Nagorno-Karabakh, l'enclave riconquistata a colpi di cannone da Baku, non si intravede nessun accordo con Yerevan. Quel che è peggio è che gli azeri occupano illegalmente 200 km² del territorio del loro vicino e tengono ancora in ostaggio 22 armeni.
Nonostante le violazioni dei diritti umani, gli europei trovano difficile ignorare le risorse geopolitiche di Baku.
Per i difensori dei diritti umani, questa situazione da sola giustifica il boicottaggio della conferenza. Il Parlamento di Strasburgo ha seguito l’esempio, a modo suo, votando in massa una risoluzione che denunciava la crescente repressione degli oppositori politici prima della COP29 e riteneva queste violazioni “incompatibili” con lo status di paese ospitante. Il disagio è talmente forte che il presidente della Commissione di Bruxelles, il presidente francese e la cancelliera tedesca hanno scelto di saltare la conferenza.
Tuttavia, gli stati europei, inclusa la Francia, inviano delegazioni a Baku. È infatti difficile ignorare i vantaggi geopolitici di questo paese di 10 milioni di abitanti, diventato un fornitore sostitutivo di gas da quando l'Europa si è volontariamente tagliata fuori dai gasdotti russi. Finalmente un modo di dire visto che, attraverso un ipocrita gioco di stronzate, quantità di gas russo continuano a entrare nel mercato europeo.
Vista da Yerevan, questa nuova dipendenza dell’UE dal regime di Ilham Aliev riduce ulteriormente la capacità degli europei di influenzare a favore di una pace giusta nel Caucaso. L’Armenia troverà qualcosa per consolarsi con l’accoglienza del 17 nel 2026e conferenza internazionale sulla biodiversità? È tuttavia lecito dubitarne.