Per settimane e per l’infinita offensiva dell’esercito israeliano contro Gaza e poi il sud del Libano, non è stato possibile alcun dialogo tra i mediatori israeliani, americani, egiziani e del Qatar. Molti israeliani, senza altra scelta, hanno sostenuto Benjamin Netanyahu nella guerra tra lo Stato ebraico e le due organizzazioni islamiste, ma sono sempre stati estremamente critici nei confronti della sua azione per liberare gli ostaggi.
Ogni volta che i colloqui riprendevano, Israele ha inviato una delegazione, si è mostrato aperto, finendo poi per spazzare via ogni speranza. Virulenti attacchi alla mancanza di strategia di “Bibi” si stanno riversando nell'opinione pubblica senza che il primo ministro israeliano abbia mai rimesso il dossier degli ostaggi in cima alle sue priorità. E se tutto questo fosse stato orchestrato magistralmente?
Le «sinwar leaks»
In un articolo del quotidiano israeliano Yedhot Araonot, in cui si parla della pubblicazione di documenti sensibili, i “Sinwar leaks”, apprendiamo di più sulla strategia deliberata del Primo Ministro volta a ingannare l'opinione pubblica israeliana, al fine di perseguire soprattutto la guerra e relegare la questione della ostaggi sullo sfondo. Questo articolo discute la divulgazione di documenti riservati in Israele, che comportano fughe di informazioni sensibili e una campagna di disinformazione politica, che mirava a manipolare gli israeliani.
Diverse persone, tra cui un portavoce dell'ufficio del primo ministro e altri sospettati, avrebbero avuto accesso a informazioni segrete senza un adeguato nulla osta di sicurezza, con l'apparente complicità di alcuni membri del governo. Diverse persone sono già state arrestate in relazione a questi sospetti. La vicenda, un po' complessa, si compone di più parti. Si tratta innanzitutto di una fuga di documenti riservati da parte delle istituzioni della difesa, che potrebbe rappresentare rischi reali per la sicurezza nazionale, perché la pubblicazione di queste informazioni potrebbe rivelare modalità operative sensibili.
Quindi, un individuo, non avendo all'epoca superato i test di sicurezza richiesti per tali file, avrebbe avuto accesso ad aree sensibili. Un individuo che tuttavia è presente durante gli incontri e i viaggi riservati dello stesso Primo Ministro. Si parla anche della manipolazione di alcuni documenti segreti all'interno dell'ufficio del primo ministro, che potrebbero compromettere la sicurezza nazionale e che sarebbero trapelati.
Infine, ci sarebbe stata l'attuazione di una sofisticata campagna di disinformazione volta a ingannare gli israeliani spiegando loro il motivo per cui gli ostaggi non erano stati rilasciati e rendendo Hamas l'unico responsabile del fallimento.
L’orchestrazione di una campagna di disinformazione israeliana
Questa campagna sarebbe stata orchestrata dal nulla per creare un diversivo e soprattutto per evitare un'indagine ufficiale in Israele sul perché e sul come della mancata liberazione degli ostaggi israeliani. L'articolo conferma chiaramente che il primo ministro Netanyahu era riluttante ad accettare un accordo per il rilascio degli ostaggi a causa delle pressioni politiche e soprattutto del timore di vedere la sua coalizione in frantumi. Per quello ? Perché liberare i prigionieri “a qualunque costo” significava negoziare e scendere a compromessi.
Netanyahu, che ha fatto di tutto per tornare al potere e intende restarci, deve la sua salvezza solo al sostegno dei due partiti suprematisti e razzisti di estrema destra guidati da Itamar Ben Gvir, ministro della Sicurezza nazionale, e Bezalel Smotrich, quello di finanza. Tuttavia, questi due re di “Bibi” non vogliono discutere né negoziare nulla dal 7 ottobre, ma vogliono porre fine ad Hamas e di fatto a Hezbollah. Vogliono anche porre fine ai palestinesi, alla Palestina e agli arabi. Molti israeliani traumatizzati, dopo il cataclisma umano del 7 ottobre, erano ovviamente della stessa opinione, ma non necessariamente a tutti i costi. E' qui il problema: vogliamo la fine di Hamas e allo stesso tempo vogliamo la liberazione degli ostaggi.
Il sacrificio degli ostaggi per la sopravvivenza politica
Non è andata così, ma attraverso una serie di documenti diffusi all’opinione pubblica e ai media, Netanyahu ha cercato di ritenere sistematicamente Hamas responsabile del fallimento di tutti i negoziati per il cessate il fuoco e del rilascio degli ostaggi. Hamas voleva soprattutto il rilascio dei prigionieri palestinesi. Ma cosa pensare quando sappiamo che Yahya Sinouar, l’istigatore e direttore del 7 ottobre, ha trascorso 20 anni nelle carceri israeliane, ed è stato finalmente rilasciato nel 2011 durante il rilascio del soldato israeliano Gilad Shalit detenuto a Gaza per 5 anni?
Quasi 13 mesi dopo la tragedia, solo una cinquantina di prigionieri israeliani sono ancora vivi nei tunnel di Hamas. E mentre sta accadendo, c’è da scommettere che tutti moriranno gradualmente, in condizioni terribili, perché Netanyahu si trova di fronte a un’impasse, la sua impasse: se discute, se negozia, perde il sostegno della sua coalizione, e il suo cade il governo. Era fuori questione che si fermasse su una simile “buona strada”, quando riuscì a eliminare i principali leader e dirigenti di Hamas e Hezbollah, per lasciare che gli allori riposino su un ipotetico successore.
Ma il proseguimento delle indagini, le conseguenze dell’arresto di alcune persone vicine alla vicenda, nonché l’inesorabile aumento della rabbia degli israeliani che da un anno aspettano il ritorno dei loro cari, potrebbero ostacolare un po’ più avanti Netanyahu, accusato da anni di meschini calcoli politici per la propria sopravvivenza. Questa volta si tratterebbe del più grande scandalo politico che abbia causato per una delle peggiori tragedie che Israele abbia conosciuto sin dalla sua nascita. Le lettere del nome di Netanyahu potrebbero rimanere impresse nella memoria di tutti gli israeliani.
Intanto Netanyahu non corre buon sangue durante l'interrogatorio a cui sarà sottoposto il principale sospettato arrestato, che è un suo parente e che è al centro dell'attualità. Netanyahu non avrà quindi altra scelta se non quella di dimettersi definitivamente? E quale rischio correrebbe Israele in un periodo di caos regionale come raramente ha sperimentato dalla sua creazione?
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Dottore in scienze politiche, ricercatore di mondo arabo e geopolitica, docente di relazioni internazionali all'IHECS (Bruxelles), associato al CNAM Parigi (Defence Security Team), all'Istituto di studi di geopolitica applicata (IEGA Parigi), al NORDIC CENTRE FOR CONFLICT TRANSFORMATION ( NCCT Stoccolma) e l’Osservatorio Geostrategico di Ginevra (Svizzera).
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