Lasciamo che le armi tacciano – editoriale di Fabien Gay – 7 ottobre 2024

Lasciamo che le armi tacciano – editoriale di Fabien Gay – 7 ottobre 2024
Lasciamo che le armi tacciano – editoriale di Fabien Gay – 7 ottobre 2024
-

Il 7 ottobre 2023 è uno shock che segnerà a lungo la società israeliana. L’attacco terroristico di Hamas, che ha lasciato più di 1.200 vittime e 251 ostaggi (dozzine dei quali sono ancora detenuti a Gaza), ha traumatizzato i quasi 10 milioni di israeliani, le comunità ebraiche e molti altri. Benjamin Netanyahu ha risposto con un’operazione militare senza precedenti, proclamando un duplice obiettivo.

Innanzitutto, sradicare Hamas. Il primo ministro israeliano, critico degli accordi di Oslo, ha tuttavia dichiarato pubblicamente che era necessario sostenere il movimento islamico per indebolire l’Autorità Palestinese e minare la soluzione dei due Stati. Il secondo obiettivo era garantire la sicurezza del suo popolo, dopo aver affrontato per molti mesi una potente opposizione interna contro la riforma autoritaria della giustizia. Non è questo il caso. La situazione è peggiorata e la sua politica della terra bruciata sta causando instabilità in tutta la regione.

Nell’ultimo anno, il diritto di Israele alla sicurezza si è trasformato nella metodica distruzione di Gaza. Più che una vendetta cieca, assistiamo a un plausibile rischio di genocidio. Il diluvio di bombe sull’enclave palestinese si mescola a epidemie e carestie; le ciniche armi utilizzate dal governo di estrema destra israeliano rendono invivibile questa striscia di terra diventata una fossa comune. Esausta dopo vent’anni di blocco disumano, la popolazione di Gaza vive ora l’inferno. Abusi, violenze ed espropri si sono intensificati a Gerusalemme Est e in Cisgiordania.

Un potente movimento di solidarietà è sorto in tutto il mondo, chiedendo un cessate il fuoco immediato, il rilascio degli ostaggi e un percorso diplomatico verso la pace. In Francia, i giovani – che vanno salutati – marciano ogni settimana per chiedere la pace, nonostante i tentativi di demonizzazione o i divieti di incontri e manifestazioni. Gli atti antisemiti sono purtroppo esplosi nell’ultimo anno e noi li condanniamo senza riserve. Ma non possono essere usate per screditare chi rifiuta la corsa a capofitto bellicosa.

Se il 7 ottobre segna certamente un punto di svolta, questa data non è l’inizio di quella che chiamiamo questione palestinese. Essa mette radici da decenni in una delle ultime situazioni coloniali del mondo. Il popolo palestinese soffre a causa dell’apartheid e della colonizzazione in Cisgiordania e Gerusalemme Est, del blocco a Gaza e dell’oblio di quattro generazioni di rifugiati nei campi sparsi in tutta la regione. Come non menzionare anche l’incarcerazione su larga scala di prigionieri politici, tra cui Marwan Barghouti, simbolo di insopportabile arbitrarietà.

L’asimmetria è evidente tra un popolo che ha uno Stato e una tecnologia militare avanzata grazie ai suoi sponsor occidentali, e un altro senza terra, a cui viene negato il diritto di avere un proprio Stato.

L’impunità dei successivi governi israeliani, che per decenni hanno calpestato più di 200 risoluzioni delle Nazioni Unite, dimostra la necessità di ripensare il sistema internazionale. Netanyahu sta ora lavorando per regionalizzare il conflitto attaccando il Libano e, forse, domani l’Iran, con conseguenze incommensurabili. L’unico modo per garantire la sicurezza dei due popoli, e quella dell’intera regione, è il riconoscimento di uno Stato palestinese accanto allo Stato israeliano entro i confini del 1967.

Dobbiamo riaprire la strada verso la pace, che non è un’utopia, ma una necessità dei popoli e un progetto politico. Per fare questo, dobbiamo iniziare mettendo a tacere le armi, sospendendo le loro consegne, ma anche gli accordi commerciali per costringere il governo israeliano a rispettare il diritto internazionale.

La questione delle sanzioni non dovrebbe più essere un argomento tabù. Occorre sostenere le iniziative legali, come l’istruzione della Corte internazionale di giustizia o le richieste di un mandato di arresto internazionale contro i leader israeliani e di Hamas. Ciò è essenziale per porre fine ai doppi standard sulla scena internazionale.

La Francia deve trovare una voce originale nel concerto delle nazioni. Dopo aver immaginato quasi un anno fa una “grande coalizione militare internazionale contro il terrorismo”, che aveva lasciato senza parole anche gli animi più bellicosi, il presidente Emmanuel Macron ha preso una posizione forte nei giorni scorsi chiedendo la fine della consegna di armi.

È urgente che le parole si trasformino in azioni. Affinché la pace non sia più un orizzonte lontano, è necessario prendere con urgenza un’iniziativa politica: quella del riconoscimento finalmente dello Stato palestinese, primo passo essenziale per la costruzione di un’umanità condivisa.

Per informazioni gratuite sulla Palestina

Siamo stati uno dei primi media francesi a difendere il diritto dei palestinesi ad avere uno Stato vitale nel rispetto delle risoluzioni delle Nazioni Unite. E abbiamo difeso instancabilmente la pace in Medio Oriente. Aiutaci a continuare a informarti su cosa sta succedendo lì. Grazie alle vostre donazioni.
Voglio saperne di più!

-

PREV La NASA ora comunica con la sua navicella spaziale tramite laser
NEXT La decisione è stata presa ieri in Consiglio dei ministri: verranno aumentate l’indennità turistica e la borsa di studio