Compleanno. La morte di Marcellina. Chiavi di memoria personali. Di Jacques Neuburger

Compleanno. La morte di Marcellina. Chiavi di memoria personali. Di Jacques Neuburger
Compleanno. La morte di Marcellina. Chiavi di memoria personali. Di Jacques Neuburger
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Per me è un mondo non che sta scomparendo, come sarebbe, non che si sta sgretolando, e nemmeno che se ne va, ma che a poco a poco non sarà altro che interiorità, non comunicabile, di cui soprattutto ogni chiacchiera è insopportabile, addirittura amichevole, e diventa facilmente molto pesante.

Anche per me era questo mondo di ragazze e signorine della fine degli anni Quaranta o dell’inizio degli anni Cinquanta, ragazze, ragazze che avevano forse sedici o diciassette anni, ventitré, ventiquattro, ventinove anni. , trentadue anni, più o meno coetanei, parlavano russo, tedesco, ungherese, yiddish, polacco, francese con o senza accento, da qualche parte anche sempre la stessa lingua, incrociavano le ginocchia, si davano, alcuni almeno , un’aria “disinvolta”, “leggera”, fumavano molto e nervosamente, sigaretta dopo sigaretta, schiacciando con la mano a scatti la loro sigaretta mezza fumata, per questo avevano tutti la stessa mano, una mano che parlava per loro e traduceva le loro silenzi, parlavano di Goethe, di Dostoevskij, di Kafka, di Bernanos o di Mauriac, anche di Wiechert, niente, per la maggior parte non erano molto ricchi, alcuni morivano anche di poca fame, non ci credete, portavano abiti che spesso venivano donati ma che li rendevano bellissimi, ricordo una che aveva ritagliato uno splendido e luminoso abito dalla tenda della sua camera d’albergo (non erano male alloggiare in un albergo, non al Ritz, in un albergo), a volte non sapevano cucinare, a volte andavano all’improvviso con mia madre e all’improvviso cominciavano a cucinare qualcosa, parlavano così nervosamente, quelle erano le rare volte in cui alcune persone piangevano, allora la cucina era una stanza piccola e importante nella nostra casa con le sue pentole di terracotta per il caffè, il sale, il riso, la cicoria, ecc. e il suo tavolo, modernità di prima della guerra, coperto da una specie di tela cerata a quadretti blu e grigi, mia madre preparava lo spezzatino, se all’improvviso fossimo più del previsto aggiungeva uno o due litri d’acqua con dado da brodo, e qualche patata per completare la carne, con tre mele e due uova potevamo sempre improvvisare un dolce, certi giorni arrivavano portando qualcosa per due centesimi di fiori, un libro tascabile, spratti, aringhe, aringhe grasse con cipolle e un po’ di pane nero, una challah o niente; Ricordo che un giorno uno di loro portò, ridendo all’improvviso e con una strana allegria, una bottiglia di vodka e una lattina di caviale; e la sera molto tardi abbiamo bevuto il tè con un po’ di marmellata di ciliegie, fino a tarda notte, poi c’erano frequenti interruzioni di corrente e il silenzio continuava fino a tarda notte attorno a questa luce gialla e bluastra della lampada a cherosene, così tardi, così tardi che a volte di notte spingevamo il tavolo e sul tappeto o sul pavimento mettevamo coperte e cuscini affinché restassero almeno quella notte.‌‌

©Jacques Neuburger

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