Dopo il successo del suo “Grand Bain”, il cineasta tocca il fondo con un secondo lungometraggio (molto) gonfio dal punto di vista formale e abbastanza nauseabondo per il suo argomento.
Dopo Il Grande Bagno (2018), il naufragio quindi. Del film precedente di Gilles Lellouche conserviamo un bel ricordo, quello di una commedia sentimentale ritmo lento che seppe unire attraverso la toccante rappresentazione di una mascolinità indebolita. Spogliato (in senso figurato) e in mutande (da bagno), un po’ accasciato e completamente bagnato, così appariva il impacco da bagno Di Ottimo bagno, comunità maschile, quasi esageratamente premurosa, ma accattivante nel modo in cui indossano la loro vulnerabilità in una sciarpa.
Adoro, uff esplora il lato opposto dell’opera precedente, ovvero una mascolinità per nulla decostruita, tutta filtrata in pulsioni di dominio, violenza eruttiva e desiderio di lotta. Naturalmente Gilles Lellouche offre una visione incriminante – almeno nel suo discorso esplicito. Come se i due film costituissero un dittico: prima la salvezza di tutti attraverso l’adozione di uno sport solitamente di genere femminile (il nuoto sincronizzato), poi l’inferno di una virilità dimostrativa, distruttiva per tutti e innanzitutto per se stesse.
Falso lirismo e sorpassato romanticismo
Ancora, Adoro, uff è tutt’altro che chiaro nella sua relazione con l’etica del gallo da combattimento. Il film passa il suo tempo a erotizzare la violenza (quella di Clotario, il delinquente interpretato da adulto da François Civil) che vorrebbe diatribare (avendo, com’è giusto, Scorsese nel mirino). Anche nella sua forma, Adoro, uff flette i muscoli, interpreta la minima scena in modo spettacolare e sovrafilma tutto ciò che guarda come se ogni inquadratura fosse un sollevamento pesi.
Al termine di quasi tre ore estenuanti basate sul falso lirismo, sul romanticismo superato sull’amore folle (amore a prima vista, acciaio inossidabile del primo amore, l’unico, quello vero) e della fantasia cinematografica costosa e infantile, conclude Lellouche. Vorrebbe allora sgombrare il campo da tutto il guazzabuglio isterico-appassionato che ha scatenato fino ad allora.
Il film si conclude con un’incredibile scusa per la docilità di fronte a un ordine gerarchico ingiusto.
L’amore, infine, trova la via della ragione e si adorna di virtù educative. Questo è il senso di questo epilogo in cui, nel supermercato dove lavorate entrambi, Clotario dimostra, sotto l’occhio vigile di Jackie (Adèle Exarchopoulos), un impeccabile autocontrollo e accetta senza batter ciglio gli umilianti rimproveri di un abietto caposquadra.
A questo punto, il film vorrebbe segnare una sorta di progresso morale per i suoi personaggi, per accompagnarli nel percorso verso l’età adulta. Ma è proprio in questa scena che troveremmo finalmente legittimo che esploda la violenza di Clotario. L’unico progresso quello Adoro, uff conferisce ai suoi personaggi è quello della formazione sociale.
Anche se lo smidollato supervisore (interpretato in modo molto pesante) viene lui stesso riformulato da Jackie, che gli fa intravedere il pestaggio a cui potrebbe essersi esposto, il film si conclude con un’incredibile scusa per la docilità di fronte a un ordine gerarchico ingiusto . Questa è l’ottima morale di questo kolossal per benestanti, valutato in 35 milioni di euro: incoraggiare i meno fortunati ad accettare senza batter ciglio il proprio destino sociale.
Adoro, uff di Gilles Lellouche, con François Civil, Adèle Exarchopoulos, Vincent Lacoste (Fr., 2024, 2 h 46). Nelle sale dal 16 ottobre.
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