“Nessuno ti sta guardando!” » Questa frase mi è stata sussurrata poco prima della mia partenza. È impresso nella mia memoria perché la sua eco mi sembra giusta e simbolica. E come per diffidare della mia mente, che avrebbe potuto farmi il furbo affronto di riporlo nell’armadio, l’ho scritto nella mia cabina di pilotaggio. Per non cedere. Non cedere alla tentazione del confronto. Smetti di preoccuparti degli altri e concentrati nuovamente su me stesso, sulla mia barca e sugli elementi che mi trasportano e mi disturbano.
Sono le 20:00. Ho appena perso 40 miglia sui miei principali concorrenti in 24 ore, ora sono addirittura 60 indietro. Ho i nervi a fior di pelle. Salto da dietro a davanti al mio guscio di noce, scalzo, stanco, fragile. Cambio la vela. Arrotolato. Srotolare. Ottimizza il mio percorso. Scarico le ultime immagini satellitari per trovare un corridoio in questo gigantesco “gioco di fuga” chiamato Doldrums. Prego il cielo di lasciarmi passare, le nuvole di togliermi di mezzo. Perché la mia porta non si apre! Salto sulla mappatura ogni 4 ore, come una dipendenza distruttiva e paralizzante. E ogni 4 ore, un nuovo montante mi accarezza il viso e la mente. I miei compagni di gioco sono fuggiti da questa deliziosa tortura casuale di cui rimango prigioniero.
L’“amico nero” che, da buon amico, non ti dice sempre quello che vuoi sentire ma sempre quello che ti fa crescere.
La connessione può essere velenosa. Lo sento ancora di più in mare perché mi allontana dal momento presente. Ripenso alla mia Mini Transat la cui singolarità dell’esercizio, non avendo mezzi di comunicazione con la terra, evoca l’irresistibile necessità di abbandonarsi alla propria traiettoria, istintivamente, senza ottenere risposta prima di oltrepassare il traguardo. Questo è lo stato in cui voglio tornare.
Allora, per rimediare a me stesso, clicco sulla piccola croce che chiude la scheda “mappatura” del mio computer di bordo. Metto la testa fuori dalla barca. Osservo di nuovo ciò che non vedevo più: i pesci volanti, la palla di uccelli che vagano con grazia nell’aria residua. Gli uccelli sembrano sussurrarmi: “Sei fuori dalla depressione, amico mio. Quando tornerai da qui, avrai girato il mondo e, questa volta, avrai il dovere di assaporare la tua impronta perché sarà tua, e, in questo, sarà bellissima! »
Il vento è tornato. Théophile si è sistemato e si dirige a sud, verso l’equatore. Solo il accenno a questa prossima scadenza mi fa sorridere. Con il cuore leggero e rilassato, fluido come l’ultimo volo rimasto sulla mia scia, lascio che il viaggio riprenda il sopravvento. Suono di nuovo per me stesso perché “nessuno mi guarda!” »
I suoi precedenti diari di bordo:
1. “Il diavolo e i dettagli”
Morocco
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