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La toccante testimonianza di Adriano sul suo alcolismo e sulla sua vita quotidiana in una favela

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Ex centravanti dell’Inter e della nazionale brasiliana, Adriano, oggi 42 anni, ha lasciato l’Europa e il mondo del calcio per tornare nella favela della sua infanzia, e trascorrere lì le sue giornate bevendo. Una discesa agli inferi che racconta in una rubrica.

Le parole sincere di un “imperatore decaduto”, di un ex idolo che ha perso il suo splendore e che lotta contro i propri demoni. In pensione dal campo dal 2016, e da allora scomparso dai radar mediatici, l’ex attaccante brasiliano Adriano ha fatto nuovamente parlare di sé negli ultimi giorni, con la pubblicazione sui social di alcuni video girati in una favela brasiliana, in cui l’ex Inter Il cannoniere seriale del Milan appare frastornato. Abbastanza per far emergere molteplici teorie. Adriano è impazzito? Dipendente?

In un lungo testo scritto in prima persona, e pubblicato questo martedì 12 novembre sul sito “The Player’s Tribune”, il titolare di 48 selezioni con la Seleçao ci spiega che il n. Ma dovrà affrontare un problema altrettanto drammatico: il suo alcolismo.

“Bevo perché non è facile essere una promessa che si è indebitata”

“Io sono il più grande spreco del calcio”, dice l’”Imperador”. “Adoro quella parola, ‘spreco’. Non solo per il suo suono, ma anche perché sono ossessionato dall’idea di sprecare la mia vita. Mi va bene, spreco frenetico.”. Mi piace questo stigma. Non mi drogo, come cercano di dire. Non sono un criminale, anche se avrei potuto esserlo. Non mi piacciono le discoteche. Esco sempre nello stesso posto nel mio quartiere, il chiosco di Naná. Se vuoi incontrarmi, vieni a trovarmi lì.

E Adriano punta i piedi: “Bevo tutti i giorni. Come fa uno come me a bere quasi tutti i giorni? Non mi piace dare spiegazioni agli altri. Ma eccone una: bevo perché non è facile essere una promessa” che si è indebitato. E alla mia età è ancora peggio.”

Ora 42enne, il quattro volte campione di Serie A dice di trascorrere le sue giornate nella sua favela di Vila Cruzeiro, a Rio de Janeiro. Ricrea il mondo lì, giocando a carte, ballando e quindi bevendo. Molto. Una dipendenza che, a suo dire, accompagna la sua esistenza da molto tempo.

“Ricordo la prima volta che mio padre mi sorprese con un drink in mano. Avevo 14 anni e nella nostra comunità tutti facevano festa. (…) All’epoca non bevevo. Ma quando vidi tutti questi giovani gente… (…) Ho preso un bicchiere di plastica e l’ho riempito di birra. Questa schiuma fine e amara mi scendeva per la prima volta in gola aveva un sapore speciale. Il “piacere” mi si stava aprendo. Mia madre era alla festa e ha visto la scena. Mio padre non ha detto niente.

E Adriano continua: “Quando mi ha visto con il bicchiere in mano, ha attraversato il campo con la velocità di chi non può permettersi di perdere l’autobus. “Fermati lì”, ha detto – ha gridato. Io ho detto: “Oh, amico”. !’ Le mie zie e mia madre hanno capito subito e hanno cercato di calmare la situazione prima che la situazione peggiorasse: ‘Dai, Mirinho (suo padre, ndr), è con i suoi amici, non fa niente divertimento, lascialo stare, anche Adriano sta crescendo’, disse mia madre. Ma non ci fu conversazione. Il vecchio impazzì con la tazza tra le mani gettato nel fango. “Non te l’ho insegnato io, figlio mio”, disse.”

“Ho preso una bottiglia di vodka, ho bevuto tutta questa merda da solo”

Ma l’ex nazionale spiega che suo padre – anche lui colpito alla testa quando Adriano aveva 10 anni – non poteva essere sempre dietro di lui. E che la sua morte, qualche anno dopo, gli cambiò la vita “per sempre”. “Ancora oggi è un problema che non sono ancora riuscito a superare”, concorda l’ex stella del campo, che sembra fare di questa scomparsa il motore della sua discesa agli inferi.

Proprio come dover lasciare la famiglia per andare in esilio in Europa durante la sua carriera da giocatore. Ricordando gli anni in Italia, il brasiliano racconta un Natale in cui si è sentito particolarmente solo: “Ero distrutto. Avevo una bottiglia di vodka. Non sto esagerando, fratello. Ho bevuto tutta quella merda da solo. Ho riempito la mia pancia con la vodka. Ho pianto tutta la notte. Sono svenuta sul divano perché ho bevuto così tanto. Cosa potevo fare se ero a Milano? Era quello che avevo sognato per tutta la vita. Dio mi ha dato l’opportunità di diventare un calciatore in Europa. La vita della mia famiglia è migliorata molto grazie al mio Signore e a tutto ciò che ha fatto per me e per la mia famiglia faceva molto anch’io. Era un piccolo prezzo da pagare, rispetto a quello che stava accadendo e che ancora stava per accadere. Ma non lo capivo, ma non mi impediva di essere triste.

Fino al giorno in cui il richiamo del Paese fu troppo forte. “Quando sono ‘fuggito’ dall’Inter e ho lasciato l’Italia, sono venuto a nascondermi qui”, racconta Adriano. “Ho camminato per il quartiere per tre giorni. Nessuno mi ha trovato. Non c’è modo di farlo. Regola numero uno della favela: stare zitto. Pensi che qualcuno mi denuncerebbe? Non ci sono topi qui, mio fratello. La stampa italiana è impazzita. La polizia di Rio ha addirittura fatto un’operazione per ‘salvarmi’, volente o nolente di libertà. Non sopportavo di dover tenere sempre d’occhio le telecamere quando andavo in Italia (…) Quando sono qui, nessuno dall’esterno sa perché ci sono andato la favela. Non era per l’alcol, né per le donne, tanto meno per la droga. Era perché volevo la pace, volevo essere di nuovo umana. verità.”

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