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Montreal Canadiens: in francese, per favore!

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“Non capisco che Nick Suzuki, il capitano, non impari il francese da cinque anni!”

No, non è un francofono nazionalista amareggiato e vendicativo a scriverlo. Lui parla inglese. E per di più, un giornalista del Gazzetta di Montreal. E in più, questo ragazzo, Brendan Kelly, è una persona davvero gentile con cui andavo molto d’accordo quando mi ha intervistato per il suo libro e la sua serie di documentari.

Conclusione n. 1: la vita a volte è piena di sorprese. Conclusione n.2: solo l’hockey può conciliare le due solitudini!

D’ACCORDO CON UN ANGLO DEL GAZZETTA

Brendan Kelly ha scritto la rubrica per otto anni Che diavolo nel Gazzetta. Ha appena pubblicato il libro Il CH e la sua gentepubblicato da Éditions de l’Homme. Un documentario omonimo andrà in onda su illico+ a fine ottobre.

Kelly ha intervistato Paul St-Pierre Plamondon e Biz, di Loco Locass, Jean-Nicolas Blanchet, di Diario, et Alexander Pratt, loro La stampae tanti ex Canadien come Serge Savard e Bob Gainey, per comprendere meglio i legami affettivi, culturali e sportivi che uniscono il CH e la sua gente…

Il suo argomento principale: i Montreal Canadiens sono un’istituzione culturale a pieno titolo e non solo una squadra sportiva come le altre. Secondo argomento: “Il CH vince più spesso se ci sono molti quebecchesi nella squadra”.

Non ne so molto di hockey. Ma ho divorato il libro di Brendan Kelly. Perché stiamo parlando di un argomento che mi sta a cuore (nel caso non l’avessi ancora notato): la preservazione del francese e la sua cruciale importanza come criterio di identità per gli abitanti del Quebec come società distinta.

E su questo io e Kelly siamo d’accordo al 100%.

A pagina 18, Kelly è indignata: “Una sera di maggio 2021, la formazione non comprendeva un solo francofono”.

Ciò che sta al centro del libro di Kelly è evidenziare questa tensione forse inconciliabile: mentre “la squadra ha un’identità culturale distinta”, per i proprietari della squadra si tratta di un’azienda privata come le altre, il cui unico scopo è quello di essere il più redditizio possibile. .

A pagina 173, Paul St-Pierre Plamondon lo riassume molto bene: “L’identità dei Montreal Canadiens si è evoluta contemporaneamente alla National League verso un modello di business globale, abbandonando le radici popolari”.

Leggendo questo libro, ho appreso che l’attore Viggo Mortensen, che parla un francese impeccabile, ha imparato la lingua Tremblay ascoltando le partite canadesi, commentate niente meno che da René Lecavalier! E ho saputo che ha girato diverse scene da Il Signore degli Anelli indossando una maglietta canadese sotto i suoi costumi!

CHE DISCO?

Brendan Kelly ha scritto un libro in francese sull’importanza del francese per i Montreal Canadiens.

Fa più interviste da due giorni (era con me ieri alla radio QUB) e parla in un francese impeccabile, come Viggo Mortensen.

Quindi se Brendan e Viggo sono capaci, perché i giocatori canadesi non possono fare questo piccolo sforzo? Questo segno di rispetto, di cultura, di integrazione, di comprensione?

Come dice bene Loco Locass nella canzone L’obiettivo: “È più di uno sport / È una metafora / Del nostro destino”.

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