È un po’ come il tempo. Innanzitutto, stiamo prevedendo un freddo polare, quindi non portare di nascosto un orso fuori. E poi, vestito con un cappotto di lana e pelliccia, un cappello e dei guanti che stanno bene, apri la porta e trovi… Tanto sole! Come se ci fossero 25 gradi che separano la temperatura annunciata da quella effettivamente percepita. È un po’ quello che ha vissuto il rugby francese a novembre per questa puntata internazionale. O meglio, ciò che riguarda l’innegabile mania che lo ha accompagnato. E sublimato.
Come leggere e comprendere, allora, questo divario tra le paure del disincanto e la realtà delle cifre? Da un lato troviamo i commenti litigiosi che da diversi mesi perseguitano il rugby e la sua ghirlanda di affari; questo rugby, subito denunciato da una vox populi, quello di “quelli che hanno un’opinione su tutto”, come uno sport di delinquenti praticato da gente ancora peggiore, un residuo di sporchi ragazzi a volte razzisti, a volte stupratori, a volte drogati. A volte tutti e tre.
D’altra parte ci sono questi spettatori eccezionali ottenuti per le amichevoli. 6,7 milioni di telespettatori contro l’Argentina e addirittura 7,3 milioni per la Nuova Zelanda, sono punteggi che non sempre raggiungiamo nel Torneo 6 Nazioni, che resta il nostro standard.
Allora, come spieghiamo tutto questo? Per molte cose. I singoli avvenimenti come tanti casi – siano essi chiamati “Cécillon”, “Jegou-Auradou”, “Jaminet”, “Haouas”, “Hounkpatin” e così via – troppo numerosi e immensamente riprovevoli, non costituiscono un Tutto. La generalizzazione di giudizi affrettati ed estesi a un intero sport non è una pratica che va necessariamente oltre i muri dei social network. E il popolo del rugby, pur dovendo essere sempre orgoglioso di denunciare l’infamia, non ha imbrattato tutto il canestro con qualche straccio sporco.
C’è anche il peso dei nomi. E quella di un ragazzo, che ci piaccia o no, che lo troviamo sovraesposto o meno. Antoine Dupont è il ragazzino diventato uomo e al quale tutto sorride. Quella che vediamo ovunque, e spesso lontano dai campi da rugby: negli spot televisivi, nelle sfilate e nei mercati. Ma proviamo sempre tanto piacere nel rivedere il nostro ambiente naturale sulla terra, per sempre. Dupont non c’era, con il XV di Francia, da un anno e non è mancato solo in termini di prestazioni. Se il tifoso del rugby accende sempre la televisione quando giocano i Blues, il curioso occasionale arriva più frettolosamente quando c’è Dupont. Lo era. E questo ovviamente conta nei risultati di entusiasmo citati.
Infine c’è il peso delle immagini e dell’emittente. TF1, divenuto rapidamente noto come “il canale leader in Europa”, fornisce una base di pubblico strutturale che nessun altro canale potrebbe promettere. Inoltre, è stata viziata con sequenze assolutamente sublimi su cui lavorare: la messa in scena ideata dallo Stade de France e dalla FFR, per questo trio autunnale “antipasto-principale-dessert”, è stata uno dei migliori spettacoli americani al mondo.
Per molto tempo questo luogo dionisiaco è stato denunciato come il più freddo del mondo, dove non accadeva altro che una partita. Ora che abbiamo visto la Haka da sola sul palco, eterea in un punto di luce che taglia questo stadio immerso nell’oscurità, ci diciamo che tutti gli altri stadi del mondo sembreranno insipidi. Questa luce, questo silenzio, questo momento, questo blu-bianco-rosso, queste sono il tipo di immagini che fanno il giro del pianeta. E che, non hanno dubbi, contribuiranno ancora, domani, alla migliore promozione del nostro sport.