Cole Caufield ammette che l’organizzazione è un Country Club

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Cole Caufield e Brendan Gallagher hanno fatto ammissioni inquietanti durante un’intervista con Renaud Lavoie, sollevando il velo su un problema lampante: la squadra dei Montreal Canadiens sembra un country club.

In una stagione in cui le aspettative erano modeste, ma realistiche, il CH non è riuscito nemmeno a raggiungere questi standard. E questa volta non si può dare alcuna colpa agli infortuni, spesso facile rifugio per spiegare le scarse prestazioni.

Con l’aggiunta di un talento come Lane Hutson, che porta una nuova dimensione offensiva e una squadra relativamente sana, la mancanza di risultati solleva seri interrogativi.

Perché questa squadra, così ben unita fuori dal ghiaccio, non riesce sistematicamente a raggiungere il livello della concorrenza sul ghiaccio?

Brendan Gallagher, un veterano rispettato, è stato aspro al microfono di Renaud Lavoiet:

“Se avessimo la risposta a questa domanda, avremmo la risposta. È importante andare d’accordo fuori dal ghiaccio, ma è anche importante spingersi a vicenda.

A volte porta a scontri, ma se arriva dal posto giusto e spingiamo tutti nella stessa direzione, potremo avere una squadra di successo. »

Gallagher ha appena detto una verità spietata: il cameratismo è essenziale, ma non dovrebbe sostituire le richieste e la competizione interna.

Una squadra NHL non può permettersi di essere troppo compiacente. Ci vuole una dose di confronto e disagio per andare avanti.

Ed è lì che tutto crolla: invece di spacciarsi, alcuni giocatori sembrano aver trovato uno spazio in cui la mediocrità è tollerata.

Cole Caufield dice anche di vedere un’organizzazione troppo a suo agio… con giocatori che si lamentano costantemente.

“Tutti possono andare d’accordo fuori dal ghiaccio, ma in una partita non dovrebbe importarti con chi o contro chi stai giocando.

La domanda che devi farti è come puoi aiutare la squadra, come puoi aiutare gli altri quattro giocatori con te sul ghiaccio. »

Indica una mentalità in cui ognuno sembra giocare per se stesso, piuttosto che per il collettivo.

E peggio ancora, riconosce che questo atteggiamento si applica a se stesso. Sono parole oneste, ma rivelano una squadra in crisi di identità.

Il commento sul country club non è di poco conto. Da diversi anni sentiamo parlare della bella atmosfera nello spogliatoio di Montreal, ma questa atmosfera rilassata sembra aver superato il limite della produttività.

Joshua Roy, appena richiamato da Laval, potrebbe portare una scintilla, ma non sarà in grado di trasformare da solo un’intera cultura.

Il problema va oltre i giocatori. Si comincia dai vertici, con un management che sembra favorire una gestione “soft” e “pro-player”.

L’allenatore Martin St-Louis, con il suo approccio educativo, può aver contribuito a costruire relazioni solide, ma deve ancora dimostrare di poter incanalare quell’armonia verso il successo sul ghiaccio.

Ed è qui che la metafora del country club colpisce nel segno: un ambiente in cui i giocatori si sentono a proprio agio, ma non spinti a eccellere.

Lasciando che giocatori come Alex Newhook, soprannominato da alcuni tifosi Il Fantasma, occupino posizioni di rilievo nonostante prestazioni mediocri, il canadese manda un messaggio sbagliato.

Nel frattempo, pezzi centrali della ricostruzione, come Juraj Slafkovsky e Kirby Dach, si ritrovano relegati in quarta linea per punizione.

Come si può costruire una squadra competitiva quando i giovani talenti vengono gestiti male e i veterani compiacenti vengono premiati?

Gallagher e Caufield, nella loro brutale onestà, ammettono a malincuore che manca la leadership sul ghiaccio. I giocatori non si sfidano e questa dinamica permissiva si riflette nelle classifiche.

Questa intervista con Renaud Lavoie funge da specchio, non solo per i giocatori, ma anche per la dirigenza.

L’ambiente del country club persiste perché la cultura è stata stabilita ai vertici. Jeff Gorton e Kent Hughes devono guardarsi allo specchio e chiedersi: hanno costruito un’organizzazione focalizzata sull’eccellenza o sull’autocompiacimento?

Per quanto riguarda Martin St-Louis, i suoi discorsi stimolanti e la sua esperienza di gioco non bastano più. I sostenitori, come gli analisti, si aspettano risultati concreti.

E se la situazione non migliora, la questione della leadership dietro la panchina potrebbe diventare inevitabile.

Il canadese è a un bivio. Gallagher e Caufield hanno lanciato l’allarme, ma il loro messaggio avrà davvero risonanza all’interno dell’organizzazione?

Non basta riconoscere i problemi; occorre rispondere con azioni concrete. Altrimenti questa stagione rischia di essere solo il centesimo capitolo di una ricostruzione infinita.

Per i tifosi la constatazione è semplice: i Montreal Canadiens non possono permettersi di essere un country club.

Non in una città dove l’hockey è una religione.

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