Estrella Carrion, 58 anni, vive da sempre a Chiva. E, prima di lei, i suoi genitori, i suoi nonni, i suoi bisnonni occupavano la bella casa vicino alla chiesa. Da oltre duecento anni, pensa. Con vista sul “burrone del gallo”questo ruscello quasi invisibile che si trasformava in un’onda gigantesca quando le piogge torrenziali cadevano sulla città. Più di 40 centimetri d’acqua in poche ore. La vista è ancora lì, metà della casa è stata spazzata via dall’alluvione. Tre pezzi strappati. La famiglia è riuscita a rifugiarsi al piano superiore. Non il cane, portato via dalla furia dell’acqua.
Gli architetti del Comune sono arrivati poco prima: la casa non è più abitabile. “Non vivremo più qui”lamenta la madre, ospitata da amici in paese. Gli abitanti si aggrappano a questa impressionante solidarietà per trarre qualcosa di positivo da questa catastrofe naturale e umana, senza paragoni con la precedente alluvione, del 1982. I vicini, i vicini dei vicini, quelli di sopra, quelli di basso in basso, hanno offerto le loro braccia a pulire il fango. I figli di Estrella sono andati ad aiutare altre vittime. I contadini del comune vennero con i loro trattori a portare bacini d’acqua e se ne andarono, in un flusso incessante, con i resti delle case distrutte: i giocattoli dei bambini, i vestiti, i libri, i mobili.
Molti giovani instancabilmente spingono via l’acqua dalle case utilizzando pale e scope. Le imprese di costruzione hanno portato le loro attrezzature. La Guardia Civil e i servizi di emergenza non sono assenti, ma il villaggio si è fatto carico da solo, ognuno contribuendo come può, invece di aspettare aiuti che non sembravano arrivare. “Non possiamo fare altro che aiutarci a vicenda”.riassume Estrella Carrion.