Gli occhiali bloccano il 98% della luce che scatena le crisi epilettiche

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Le persone con epilessia fotosensibile potrebbero trarre beneficio da un prototipo di occhiali le cui lenti bloccano le lunghezze d’onda note per causare convulsioni in alcune persone.

In uno studio pubblicato su Cell Reports Physical Science, i ricercatori dell’Università di Glasgow e dell’Università di Birmingham hanno sviluppato un prototipo di lente a cristalli liquidi che, secondo loro, potrebbe aiutare le persone affette da epilessia fotosensibile.

Le lenti sono controllate da variazioni di temperatura molto piccole che possono essere integrate nella lente e, una volta attivate, possono bloccare più del 98% della luce nella gamma di lunghezze d’onda 660-720 nm, nota per colpire il maggior numero di persone affette da epilessia fotosensibile.

Zubair Ahmed, professore di neuroscienze all’Università di Birmingham e coautore dello studio, ha dichiarato: “Questo articolo dimostra il potenziale dell’utilizzo di lenti a cristalli liquidi che possono essere modulate per tagliare specifiche lunghezze d’onda della luce.

« Il prototipo mostra come un circuito discreto installato nella montatura di un paio di occhiali può alimentare queste lenti ed essere utilizzato in situazioni in cui determinate lunghezze d’onda della luce possono innescare un attacco, come mentre si guarda la televisione o mentre si gioca al computer. Il circuito riscalda le lenti a una temperatura confortevole per chi le indossa, eliminando al contempo oltre il 98% della luce a lunghezze d’onda che potrebbero causare convulsioni ».

Rami Ghannam, professore di elettronica all’Università di Glasgow e autore principale dello studio, ha dichiarato: “ Questo progetto mostra come la collaborazione tra diverse discipline come ingegneria, neuroscienze e matematica possa portare a potenziali scoperte in grado di trasformare la vita di pazienti affetti da varie malattie. ».

« Attualmente stiamo sviluppando questo prototipo per migliorarne le prestazioni prima di sottoporlo a studi sull’uomo. ».

Gli autori sottolineano che l’attuale prototipo ha funzionato in ambienti con temperature non superiori a 26°C e che sarebbero necessari ulteriori aggiustamenti alla tecnologia per utilizzarlo in ambienti più caldi. Il team rileva inoltre che il tempo necessario al prototipo per riscaldarsi e raffreddarsi può essere migliorato.

Fonte: Università di Glasgow

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