Francia 2023 doveva essere LA Coppa del Mondo per i blues. Se la festa popolare era un interminabile baccanale, per il XV di Francia e il suo mediano di mischia somigliava ad una vera e propria tragedia greca.
La data del 30 settembre segna un anniversario molto strano, di cui avremmo fatto a meno perché simboleggia sia l’isteria collettiva che gli eccessi provocati dal contesto di un Mondiale in casa. Si tratta, qui, di questo “covo” collettivo un po’ surreale di un pubblico di giornalisti, vagamente avvertiti dell’imminente ritorno dell’icona Antoine Dupont all’hotel Renaissance di Aix-en-Provence, dopo la sua ormai famosa frattura del maxillo -zigomatico e la sua settimana di riposo sul lato delle radici, a Castelnau-Magnoac. Il giorno in cui abbiamo capito, confusamente, che il XV francese non avrebbe vinto il Mondiale, preoccupati piuttosto dal ritorno alle competizioni di un solo uomo che sarebbe stato ritirato senza il suo status particolare di miglior giocatore del mondo (come il trauma vissuto dai tifosi di calcio e dalla “coscia di Zidane” nel 2002) che dalla preparazione di un eventuale quarto di finale, fino a dubitare (sinceramente) di riuscire a sconfiggere con bonus offensivo gli azzurri schiacciati il giorno prima dalla Nuova Zelanda (96- 17).
Tuttavia, davanti alla telecamera, il ritorno agli allenamenti sapientemente messo in scena di Dupont (tutti sorrisi su una wattbike, all’angolo opposto dello stadio Georges-Carcassonne) aveva tutto per suscitare speranza. Che è stata però schiacciata da una pressione mediatica incessante, tenendo la Francia con il fiato sospeso, dall’apertura del telegiornale della BFM a quello di France Inter.
Dov’era? Cosa stava facendo? Com’era? Quando sarebbe tornato? Potrebbe giocare ancora? Con una maschera, un casco? Del tutto involontariamente, c’era ovunque Dupont, che il gruppo francese aveva molta difficoltà a proteggere da tutta questa agitazione. Come da quella sinistra partita contro la Namibia nove giorni prima, insomma, che aveva visto il capitano dei Blues colpire di testa Johan Deysel dritto allo zigomo, in un contrasto poco controllato. Erano le 22:06 e stava appena iniziando il viaggio notturno del residente di Tolosa, trasportato d’urgenza all’ospedale privato di Provenza – dove sarà tenuto in osservazione tutta la notte – prima di essere operato il giorno successivo a Tolosa, poco prima di mezzanotte. , della sua frattura da parte del chirurgo dell’ospedale di Purpan Frédéric Lauwers. Un programma molto tardivo legato ad un altro imprevisto: spinto dal compagno per ritornare alla Ville Rose, il veicolo elettrico su cui viaggiava Dupont era stato vittima di una batteria recalcitrante che ha dovuto prendersi il tempo di ricaricarsi in un parcheggio. autostrada, non lontano da Montpellier…
Troppo solo di fronte al foraggio mediatico
Poi arrivò il giorno dei quarti di finale, il 15 ottobre. Antoine Dupont riuscì davvero a iniziare la partita quel giorno, visto il “trattamento di favore” che gli Springboks erano sicuri di riservargli? Fisicamente, senza dubbio, visto il suo inizio di partita che lo ha visto moltiplicare le iniziative, come questo rigore di fallo di mano sfociato nella meta di Cyril Baille. Ma psicologicamente? Probabilmente no… Perché se solo si può onorare il coraggio che ha dimostrato in 80 minuti per superare le legittime apprensioni, è chiaro che la pressione accumulata in tanti giorni (per non dire lunghe settimane, se vogliamo tornare all’infortunio di Romain Ntamack di agosto) 12 che lo privò del suo partner abituale) finì per esplodere nella relazione con Ben O’Keeffe, nel fresco della notte dionisiaca. Dove abbiamo visto Dupont, solitamente disinvolto e calmo olimpico con gli ufficiali di gara, mostrarsi nervoso per poi litigare rapidamente con l’arbitro neozelandese, al punto da alienarlo definitivamente in denaro. Interrogato dopo l’incontro sull’argomento, Dupont non ha potuto nascondere la sua frustrazione. “Non voglio arrabbiarmi e lamentarmi dell’arbitraggio perché ha perso la partita, ma non sono sicuro che l’arbitraggio sia stato all’altezza della sfida”ha dichiarato il capitano dei Blues al termine dell’incontro. Un pendio scivoloso su cui il suo allenatore Fabien Galthié non lo ha raggiunto, lasciando ancora una volta Antoine Dupont solo di fronte alle sue responsabilità e critiche, comprese quelle formulate in queste colonne dal capo mondiale dell’arbitrato Joël Jutge. Una volta di troppo? Non lo speriamo. Ma quella che, indiscutibilmente, ha convinto Dupont della fondatezza del suo obiettivo di partecipare ai Giochi Olimpici di Parigi 2024, per dimenticare il momento peggiore della sua carriera, anche a costo di sacrificare un Torneo al quale l’allenatore dei Blues ha comunque provato fino all’ultimo momento per riaverlo. Senza successo e senza rimpianti per Dupont che, la settimana scorsa, si è fatto togliere le placche metalliche dallo zigomo. Un intervento chirurgico finale, davvero simbolico, un anno dopo questo anno folle.
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