Avendo seguito a fasi alterne le inaugurazioni presidenziali degli Stati Uniti sin dalla prima di Bill Clinton nel 1993, le immagini più sconcertanti per me finora non sono la presenza di dirigenti aziendali e titani della tecnologia all’interno della Rotonda del Campidoglio: gli interessi monetari fanno sempre parte dei festeggiamenti inaugurali, anche se di solito in ruoli meno visibili – ma piuttosto nei leader stranieri che sono lì.
Politici favorevoli a Trump come Javier Milei, presidente dell’Argentina, e Giorgia Meloni, primo ministro italiano, sono seduti insieme in fondo alla stanza, un chiaro segnale del caucus populista internazionale che sta crescendo in tutto il mondo ed è stato stimolato da Il ritorno di Trump.
Ma seduto vicino a loro c’è Han Zheng, il vicepresidente cinese, la cui presenza invia un messaggio molto più complicato. Trump ha inviato segnali molto contrastanti nei confronti di Pechino, continuando la sua retorica anti-Cina nell’ambito della sua agenda economica nativista, America First, che suggerirebbe un riaccendersi della guerra commerciale intrapresa durante il suo primo mandato.
Ma gran parte di ciò che ha fatto nel periodo pre-inaugurale ha attenuato quel messaggio, dall’invitare un rappresentante cinese all’inaugurazione alla promessa di concludere un accordo per mantenere TikTok di proprietà cinese operativa negli Stati Uniti. Come al solito Trump sulla scena estera, sembra tenere tutti nel dubbio su come intende avvicinarsi a Pechino.
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