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Il Consiglio federale è più aperto di altri governi

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Un confronto internazionale dimostra che il governo svizzero può tenere il passo.

Negli anni Cinquanta e Sessanta, dopo la riunione settimanale del Consiglio federale, Charles Oser affisse sulla bacheca un biglietto che diceva: “Niente da segnalare per oggi”. Nella foto lo si vede al giuramento del nuovo Consiglio federale il 17 dicembre 1959 a Berna (all’estrema destra).

Hans-Ueli Blöchliger / Keystone

Nel Palazzo Federale al piano terra si trovava la “stanza del giornalista”, una stanza con un tavolo rotondo, un portagiornali e una bacheca. Ogni tanto arrivava un consigliere federale per annunciare le sue dimissioni. Ma negli anni Cinquanta e Sessanta vigeva la regola che, dopo la riunione settimanale del Consiglio federale, il cancelliere Charles Oser affiggesse sulla bacheca una nota con la scritta: “Niente da segnalare per oggi”. Poiché all’epoca la maggior parte dei giornali erano ancora giornali di partito, i giornalisti si incontravano al bar con i consiglieri federali della stessa corrente partitica per saperne di più. Non potevano citare nessuno.

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I consiglieri federali si sono rivolti raramente ai media, preferendo invece parlare direttamente alla gente. Hanno parlato ai congressi del partito, alle riunioni pubbliche e ai festival federali. Fu solo Walter Buser, in qualità di vicecancelliere, a introdurre negli anni ’70 un orientamento mediatico regolare. Da allora i rapporti tra la Confederazione e i media si sono intensificati: i consiglieri federali rilasciano interviste, partecipano a trasmissioni come «Arena» o «Infrarouge», partecipano a conferenze stampa e fanno rispondere alle domande dei giornalisti dai loro rappresentanti dei media. Ma il governo comunica anche oltre il giornalismo: con siti web, opuscoli, videomessaggi, il “Bundesbüchlein”, discorsi radiofonici prima dei referendum e attraverso i social media.

Sorge allora la domanda: quanto è favorevole ai media il Consiglio federale? Ciò può essere misurato in base a quattro criteri: in primo luogo, dal suo atteggiamento nei confronti della libertà dei media. In secondo luogo, il suo atteggiamento nei confronti del finanziamento dei media. In terzo luogo, la sua disponibilità a partecipare alle conferenze stampa. E in quarto luogo, la sua apertura alle domande giornalistiche (durante la ricerca, nelle interviste).

Il Consiglio federale ha sempre sostenuto la libertà dei media sancita dalla Costituzione. Nessun ministro dei media, né nessun altro membro del più alto potere esecutivo, ha mai messo in dubbio questo principio. Il Consiglio federale ha inoltre sostenuto l’ampliamento della libertà di stampa nel settore bancario, cosa che il Consiglio degli Stati ha impedito. Il governo è un po’ meno risoluto nel sostenere il finanziamento dei media; Non vuole iniettare troppi soldi e spera che l’industria si aiuti da sola.

Da 80 a 100 conferenze stampa all’anno

Quante volte il Consiglio federale si confronta con i media? Dopo ogni seduta del Consiglio federale, che si svolge il mercoledì, i singoli consiglieri federali si recano al Centro stampa federale per spiegare ai giornalisti, sotto la guida del vicecancelliere e portavoce del Consiglio federale Andrea Arcidiacono, le decisioni più importanti prese. Questo ascensore esiste anche dopo i referendum federali.

Gli addetti ai media vedono i ministri federali in modo diretto, autentico e possono porre loro domande. A volte lo fanno davvero ostinatamente. Hai l’opportunità di farlo più di 40 volte l’anno. Ogni anno circa 40 volte si tengono conferenze stampa nelle quali i membri del Consiglio federale presentano le proposte dei loro dipartimenti o lanciano campagne di voto. Tutte queste conferenze stampa saranno trasmesse in diretta tramite video. Ciò significa che la popolazione può seguire come avviene lo scambio tra governo e media.

Da 80 a 100 conferenze stampa all’anno: come si colloca il governo svizzero a livello internazionale? Può tenere il passo, infatti è in definitiva più favorevole ai media dei governi di USA, Gran Bretagna, Germania e Francia e altrettanto mediatico dei governi di Austria e Italia. È importante che un paese abbia una tradizione di “gestione delle notizie centrata sulla politica” (il parlamento ha la priorità) o di “gestione delle notizie centrata sui media” (i media hanno la priorità).

Primato del Parlamento: prototipo della Gran Bretagna

Il classico esempio del primato del parlamento è la Gran Bretagna. Il Primo Ministro parla ogni mercoledì nel Tempo delle interrogazioni alla Camera dei Comuni, ma raramente davanti ai media. I 470 giornalisti della lobby hanno la possibilità di interrogare due volte al giorno il portavoce del Primo Ministro, ma non il Primo Ministro stesso. Inoltre i ministri tendono a comportarsi in modo tale da annunciare importanti innovazioni davanti alla Camera dei Comuni piuttosto che davanti ai media.

Allo stesso modo, in Germania, il Cancelliere si presenta davanti al Bundestag per un “interrogatorio del governo”, ma non compare praticamente mai alla conferenza stampa federale. A Berlino si tengono tre conferenze stampa governative alla settimana per i 700 giornalisti della Conferenza stampa federale, che – unica al mondo – è guidata da un giornalista. Tuttavia sono presenti solo i portavoce della Cancelliera e dei ministeri nei media, mentre i ministri compaiono solo molto raramente.

Anche in Francia il Primo Ministro si vede più spesso davanti all’Assemblea nazionale che davanti ai media. E il presidente francese si sta rendendo particolarmente raro quando si tratta di apparizioni sui media. Emmanuel Macron ha tenuto solo quattro conferenze stampa in sette anni di mandato (escluse le apparizioni dopo visite di Stato e conferenze internazionali), poche quanto i suoi predecessori gollisti Jacques Chirac (quattro conferenze stampa in dodici anni) e Nicolas Sarkozy (tre in cinque anni) e a differenza del fondatore della Quinta Repubblica, Charles de Gaulle, che durante i suoi dieci anni di mandato celebrò 17 conferenze stampa. In Francia, dopo ogni riunione del Consiglio dei ministri, viene trasmesso in video un “Compte rendu” da parte del portavoce del governo, ma lì i media non incontrano i ministri.

Il primato dei media: il prototipo degli Stati Uniti

Il classico esempio del primato dei media sono gli Stati Uniti. Gli addetti ai media alla Casa Bianca ricevono briefing giornalieri dalla portavoce dei media del presidente, spesso più volte al giorno. Tuttavia, vedi il presidente stesso con una cadenza diversa. Joe Biden ha tenuto solo una media annua di 9,9 conferenze stampa, mentre Donald Trump ne ha tenute 22 e Barack Obama 20,4. I più frugali sono stati Richard Nixon con 7 e Ronald Reagan con 5,8 conferenze stampa annuali.

I parlamentari, invece, vedono il Presidente in mezzo a loro solo una volta all’anno (per il messaggio sullo stato dell’Unione) e non possono mai interrogarlo. Italia, Austria e Svizzera hanno avuto uno sviluppo simile: i media sono i primi a informarsi sulle decisioni del governo, ben prima dei parlamentari. In Italia, sotto la presidenza del Consiglio Giorgia Meloni, l’informazione mediatica si è intensificata.

Dopo ogni Consiglio dei ministri, i singoli ministri si presentano davanti ai media a Palazzo Chigi, e spesso c’è anche Giorgia Meloni. Queste conferenze saranno trasmesse via video. Anche in Austria, dopo il Consiglio settimanale dei ministri, i singoli ministri informano i media nel “foyer stampa”. Tuttavia il Cancelliere e il Vicecancelliere federali sono presenti solo in casi particolari. Inoltre ogni settimana a Vienna si tengono dalle 10 alle 15 conferenze stampa alle quali partecipano i ministri.

Conclusione: anche in Svizzera, come in Austria e in Italia, i giornalisti hanno la garanzia di poter incontrare regolarmente i membri del governo e porre loro domande. Negli USA, Gran Bretagna, Germania e Francia non hanno questa garanzia.

Differente disponibilità a parlare a seconda della situazione

Resta la quarta domanda: quanto sono disposti i membri del governo a rilasciare interviste e consentire ricerche? In tutti i paesi, i ministri praticamente offrono interviste quando le cose vanno bene per loro ed evitano le interviste quando sono in crisi. In Gran Bretagna è normale che il Primo Ministro, ma anche altri ministri, raccolgano attorno a sé giornalisti di lobby per fornire loro informazioni di base, che non possono citare direttamente.

Simili circoli di fondo esistono anche in Germania, anche se a Berlino sono un po’ meno pronunciati che a Bonn. Tutti rilasciano interviste, i membri del governo e i loro responsabili dei media riflettono attentamente su quali giornali e quali programmi siano una piattaforma adatta per loro. Questo dicono di tanto in tanto i consiglieri federali svizzeri in programmi come “Samstagsrundschau”, in Germania si trovano ministri su “Maischberger”, “Markus Lanz” o “Caren Miosga”. In Francia gli attori politici sono quasi costantemente presenti su tutti i canali.

In Francia, Austria e Italia i rapporti tra operatori dei media e leader politici sono già stretti. Cenano insieme al ristorante e si incontrano anche privatamente per discutere di questioni politiche. A Vienna parliamo di “Verhaberung” (antica parola ebraica per clientelismo), a Parigi di “connivenza”, a Roma conosciamo il “giornalista dimezzato”, diviso tra la sua missione giornalistica e la fedeltà a uno sponsor politico. In Svizzera la distanza professionale viene mantenuta meglio rispetto a qualche decennio fa, nonostante la gestibilità e la cultura del nome.

Roger Blum è professore emerito di scienze della comunicazione e dei media all’Università di Berna. Dal 2008 al 2015 è stato Presidente dell’UBI.