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come sono stati ingannati i media…

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Mentre Bashar al-Assad viene deposto dalla carica di brutale presidente della Siria, sua moglie Asma e i suoi figli sono fuggiti in Russia poco prima, le scene sono troppo sorprendenti per essere chiarite. Non possiamo definirla una rivoluzione finita, ma possiamo definire finito il regime di Assad e segnare la fine della guerra civile siriana: 13 anni di atroci spargimenti di sangue; 580.000 persone uccise, di cui più di 230.000 civili, secondo la Rete siriana per i diritti umani, che attribuisce circa il 90% delle morti tra non combattenti alle forze di Assad.

Non è mai stato il tipo, dicono i corrispondenti esteri. Adrian Blomfield sul Telegraph definisce Assad “goffo e allampanato, i suoi modi senza pretese”. John Simpson lo trovò “mite e ansioso di compiacere”. E chi potrebbe dimenticare quanto Asma al-Assad sembrasse poco assetato di sangue e incongruo? Pulita e discreta, come una moglie in una miniserie.

Quando scoppiò la primavera siriana nel 2011, la rivista Vogue pubblicò un profilo di Asma al-Assad intitolato Una rosa nel deserto. Suo marito aveva già ucciso più di 5.000 civili, tra cui centinaia di bambini, quando Asma veniva descritta come “la più fresca e magnetica delle first lady”. La giornalista Joan Juliet Buck ha continuato sottolineando che “il suo stile non è lo splendore couture e sfarzoso del potere mediorientale, ma una deliberata mancanza di ornamenti”.

All’epoca fece scalpore. Vogue inizialmente lo difese, ma in seguito lo cancellò dal suo archivio, e per molto tempo l’unica registrazione online del pezzo fu su un sito di fan di Assad ormai defunto. Buck lo sconfessò, dicendo che aveva depositato le parole a gennaio; La repressione di Assad, che ha portato a richieste globali di dimissioni, è iniziata solo a febbraio. La difesa era un po’ debole, dato che Assad governava la Siria come uno stato di polizia totalitario da quando era entrato in carica nel 2000, ma il tumulto non riguardava realmente la giornalista in sé – che in seguito definì Asma al-Assad “la first lady di inferno” – era più una presa di coscienza collettiva che i lunghi e spensierati anni ’90 erano finiti. Il mondo era diventato serio e, qualunque fosse il nuovo compito della narrazione geopolitica, il postmodernismo non era all’altezza. Non si poteva più guardare la moglie di un leader repressivo e notare con quanta eleganza indossasse gli accessori: “nessun orologio, nessun gioiello a parte le agate Chanel attorno al collo, nemmeno un anello nuziale, ma le unghie laccate di un blu-verde scuro”.

O almeno, all’inizio sembrava che si trattasse di quello scandalo. In retrospettiva, il profilo di Asma al-Assad non stava solo chiudendo un capitolo della storia; ne stava aprendo anche un altro. La famiglia Assad, si scoprì in seguito, aveva pagato una società di pubbliche relazioni americana, la Brown Lloyd James, 5.000 dollari al mese per mediare quell’articolo. Anche se fossero passati altri due anni prima che Assad usasse armi chimiche contro il suo stesso popolo – ciò accadde nel 2013, suscitando ancora più indignazione internazionale, con una simile mancanza di effetto – sarebbe già stato ben consapevole che il suo governo non costituiva nulla di più ampio. il mondo chiamerebbe democratico o lodevole. Si trattava fondamentalmente di una provocazione all’establishment liberale globale, mediata attraverso la sua bibbia di stile: fino a che punto sei disposto a chiudere un occhio, per ottenere il giusto tipo di accesso? Naturalmente non c’è mai stato alcun indizio che Vogue fosse stato pagato per pubblicare il pezzo; piuttosto, quella vicinanza alla folle ricchezza degli Assad, il fatto di poter premere il naso contro le finestre del palazzo, è stata inizialmente sufficiente a far sì che una rivista trascurasse le violazioni dei diritti umani e si concentrasse sul glamour.

Vladimir Putin, più o meno nello stesso periodo, cercava di presentarsi come un eroe d’azione, pubblicando foto di se stesso a cavallo, a torso nudo, su una Harley, con una tigre. Chi ha bisogno di prendersela con la cleptocrazia quando sembra così divertente? Se un autocrate non gli assomiglia o non si comporta come tale, se assomiglia invece a una giraffa (come si diceva di Bashar al-Assad), o a un burlone, o a un clown, o a un reality showman, forse non sarà dopo tutto, era una vita così brutta sotto di lui.

Questa impunità sembra così ovvia ora: i despoti stavano semplicemente schernendo l’ordine democratico internazionale per quanto fossero instabili e negoziabili i suoi valori. Ma in quel momento era sconcertante.

• Zoe Williams è editorialista del Guardian

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