L’OPINIONE DEL “MONDO” – DA NON PERDERE
Riusciremo a realizzare un film delizioso, godibile e liberatorio, sullo sfondo del disagio sociale del protagonista, senza cadere nel pathos o nella volgarità? Louise Courvoisier, nata nel 1994 a Cressia, nel Giura, lo dimostra con Venti dei, primo lungometraggio, presentato a maggio a Cannes (Un certain Regard) e girato nella sua regione natale.
Il titolo fa riferimento a un'imprecazione, segno che i guai si accumulano per Totone (Clément Faveau), 18 anni: imbronciato con la sigaretta, è l'archetipo del fannullone, in giro per le feste di paese. Si ritrova improvvisamente orfano della sorellina (Luna Garret) dopo la morte del padre, che si è schiantato con l'auto in un fosso dopo una serata ubriaca. Per sopravvivere, Totone inizia a produrre il formaggio della contea, con l'obiettivo di vincere un concorso e il relativo denaro.
Bisogna ancora saperlo fare: il giovane non ha mai messo il naso nel calderone, ma è circondato dai suoi due migliori amici pronti a tutto pur di aiutarlo. Lo scenario è scandito dai quattrocento inganni della piccola banda, tra furti agricoli ed educazione sessuale con Marie-Lise (Maïwène Barthélemy), un'allevatrice di mucche scontrosa ma non timida, che ha voglia di divertirsi. Sorprendentemente, la giovane attrice non professionista è una delle sedici attrici nominate per il César dell'Apocalisse – la cerimonia si svolgerà il 28 febbraio 2025. Senza dubbio, Venti dei è una commedia olé olé e latte crudo.
Un tono occidentale
Louise Courvoisier è cresciuta con genitori musicisti convertiti all'agricoltura, per poi formarsi alla CinéFabrique, la scuola di Lione fondata nel 2015 con l'obiettivo di ampliare i profili (sociali, geografici, ecc.) degli studenti. Nei titoli di coda compaiono diversi membri della sua famiglia. Tra gli altri, suo fratello, Charlie Courvoisier, e sua madre, Linda Courvoisier, hanno composto musica e cantato la voce per alcuni brani, dando un tono occidentale a quest'opera filmata in ambito.
Dagli attori alle scenografie, tutto è “locale” e suona vero: gli accenti, le espressioni facciali, perfino questa corsa di stock car, queste gare di velocità e di ribaltamento su vecchie auto “customizzate”. Senza dubbio la regista sapeva fin dove poteva spingersi oltre, avendo avuto il tempo di osservare i giovani della sua età da adolescente. Totone ha un volto, uno sguardo da perdente, ma non è fisso: l'attore, che nella vita lavora in un'azienda avicola, riesce a farsi carico del lato mascalzone del ragazzo, senza perdere di vista il senso di colpa che lo insidia.
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