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La caduta di Bashar Al-Assad, una grave battuta d'arresto per la Russia di Vladimir Putin

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Il presidente russo Vladimir Putin (a destra) e Bashar al-Assad, in Siria, l'11 dicembre 2017. AGENZIA FOTOGRAFICA SPUTNIK / REUTERS

A Mosca, nel pomeriggio di domenica 8 dicembre, la bandiera utilizzata sotto il regime di Bashar Al-Assad è stata rimossa dall'edificio dell'ambasciata siriana in Russia. Poche ore dopo, le agenzie di stampa russe hanno confermato ciò che la voce diceva già dalla notte tra sabato e domenica. Il leader siriano e la sua famiglia si trovano a Mosca e hanno ottenuto asilo politico dalle autorità russe.

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Il Cremlino deve quindi affrontare la realtà dei fatti: con l’improvvisa caduta del suo alleato di lunga data si trova di fronte al fatto compiuto. Ma, fedele al suo principio di “non abbandonare i propri”, offrì rifugio al dittatore deposto. “Assad e i suoi familiari sono arrivati ​​a Mosca. La Russia, sulla base di considerazioni umanitarie, ha concesso loro l’asilo”indica una fonte del Cremlino citata dalla TASS e dalle agenzie Ria Novosti.

Bashar Al-Assad, che si era già recato a Mosca al momento della presa di Aleppo il 30 novembre, non è però apparso in pubblico. Il presidente Vladimir Putin non ha parlato personalmente. Sia il Cremlino che la diplomazia russa hanno reso il servizio minimo. “Assad ha deciso di dimettersi dalla sua carica presidenziale e ha lasciato il Paese con l'ordine di effettuare il trasferimento del potere in modo pacifico”, ha detto domenica Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo. Senza ulteriori dettagli. Ha solo chiarito che la decisione di partire era stata presa “a seguito dei negoziati tra Bashar Al-Assad con un certo numero di partecipanti al conflitto armato sul territorio della Siria”. Traduzione implicita: una decisione presa con, o anche da, Mosca.

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Il vice rappresentante della Russia presso le Nazioni Unite (ONU), Dmitry Polyanskiy, ha annunciato domenica che Mosca chiederà una riunione d'emergenza a porte chiuse del Consiglio di sicurezza sulla situazione in Siria per lunedì pomeriggio. Lo ha avvertito “la profondità e le conseguenze per questo Paese e per l’intera regione [des récents événements] non sono ancora stati misurati ». La diplomazia russa, abituata a difendere a tutti i costi il ​​proprio alleato, fatica infatti a nascondere la portata di questo arretramento.

Declino delle capacità militari russe in Siria

Proprio il giorno prima, a margine di un incontro a Doha con i suoi omologhi di Turchia e Iran, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov aveva giudicato “È inaccettabile consentire a un gruppo terroristico di prendere il controllo di territori in violazione degli accordi esistenti, a cominciare dalla risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che riafferma fermamente la sovranità, l’integrità territoriale e l’unità della Repubblica araba siriana”. Un riferimento a una risoluzione adottata dalle Nazioni Unite nel 2015 per una soluzione politica in Siria. Nello stesso anno, è stato il fondamentale sostegno militare dell’esercito russo che, di fronte alle forze islamiste, ha permesso a Damasco di riprendere gradualmente il controllo di gran parte del paese.

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